Emergenza sanitaria, sport e carceri: il tempo sospeso
Gabriella Stramaccioni, garante delle persone private della libertà per il Comune di Roma, racconta le misure messe in atto durante l'epidemia per limitare i danni a chi si trova in carcere
L’arrivo, improvviso e destabilizzante, del Covid-19 ha prodotto una sospensione nel corso delle vite di ognuno di noi. Ma cosa è accaduto chi già viveva una sospensione del corso della propria esistenza? Cosa accade nelle carceri italiane, ora che a scandire le giornate non ci sono più visite, attività culturali e sportive, ma la paura di un contagio?
Lo racconta da Roma Gabriella Stramaccioni, Garante delle persone private della libertà per il Comune di Roma, una lunga esperienza nell’associazionismo, prima con Uisp e poi con Libera, nazionale italiana di maratona, da sempre impegnata nella difesa dei diritti civili e per la giustizia sociale, che parla degli istituti cittadini: «A Roma ci sono cinque istituti penitenziari per adulti – spiega Gabriella – più un istituto minorile e un Cir a Ponte Galeria. Abbiamo quindi circa 3.500 persone recluse negli istituti. C’è un forte sovraffollamento soprattutto a Rebibbia Nuovo Complesso ed a Regina Coeli. Con l’emergenza sanitaria sono state eseguite alcune misure, in realtà già previste ed attuate nel corso del tempo, come l’accesso a misure alternative alla detenzione al di sotto di dei 18 mesi di residuo pena, oppure la possibilità di accedere ai servizi sociali o alla detenzione domiciliare per gli over 60. Questo ha permesso, in questa situazione così difficile, di poter far uscire almeno 300 fra uomini e donne».
«Il mio impegno di Garante – prosegue Stramaccioni – in questi mesi è stato concentrato proprio sull’individuazione di percorsi alternativi alla detenzione con la Magistratura di sorveglianza, i servizi del comune di Roma, della Regione Lazio e del privato sociale, con l’obiettivo di limitare il rischio di contagio. È stato deciso, inoltre, da parte delle autorità competenti il blocco dei colloqui con i famigliari e questo ha creato ulteriore stress, anche se sono stati predisposti colloqui telefonici e via Skype».
Un tema, quello dei percorsi alternativi alla detenzione, tornato alla ribalta nell’ultimo periodo: «Sulle scarcerazioni è stata fatta tanta confusione – conclude Gabriella – è stato fatto passare il messaggio di una scarcerazione di massa tramite decreto, di detenuti per reati di mafia. Ovviamente non è così».
In una situazione difficile come il carcere entra in gioco anche la paura: «Il terrore e l’ansia che da un momento all’altro qualcuno possa ammalarsi è un pensiero fisso e vivendo in spazi ridottissimi il contagio sarebbe veloce ed inevitabile. Del resto sono state la paura e ansia a generare le ultime rivolte in carcere».
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