Il Congo e la guerra mondiale per le risorse. “Luca Attanasio assassinato perché aveva scoperto qualcosa”
Il Paese africano, ricchissimo di risorse, è sempre al centro delle mire di chi sfrutta le risorse, dal rame ai minerali per le batterie elettriche. In un incontro dedicato c'era anche il padre dell'ambasciatore ucciso nel 2021
«È in Africa che si combatte la guerra mondiale per le risorse». E il Congo, ricchissimo di risorse minerarie, è ancora uno dei campi di battaglia più sanguinosi, dopo l’invasione dei guerriglieri M23 armati dal vicino Ruanda.
Se n’è parlato in una partecipatissima iniziativa al circolo Quarto Stato di Cardano al Campo, con un mosaico di voci che ha raccontato il dramma di questo Paese, l’intreccio di interessi internazionali e anche un caso che tocca da vicino l’Italia: l’assassinio di Luca Attanasio, l’ambasciatore ucciso nel 2021, a quarantatre anni di età.
Assassinato, dice la famiglia, perché aveva scoperto qualcosa che non doveva essere divulgato. E su cui l’Italia, per interessi di Stato, ha fatto calare il silenzio.
«Luca è stato per i congolesi una speranza. Aveva aperto le porte dell’ambasciata, aveva dato ai nostri concittadini la speranza di un viaggio legale» dice Evelyne Sukali, attivista congolese per i diritti umani e mediatrice culturali, che ha raccontato anche la sua dura esperienza di emigrazione per via di terra (approdo finale a Lampedusa).
Attanasio fu ucciso nel 2021. «Le prime ricostruzioni, arrivate in poche ore anche sulla stampa italiana, parlavano di un sequestro andato male. Dopo cinque anni possiamo dire che quella versione si è sciolta come neve al sole: la ricostruzione dei nostri periti parla di una esecuzione» dice Salvatore Attanasio, padre di Luc, che era nato a Saronno nel 1977 ed era cresciuto nella vicina Limbiate.
Secondo i periti delle famiglie, Attanasio, la sua guardia del corpo carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo furono uccisi sparando da una posizione più bassa, non in un conflitto a fuoco incrociato. «Le indagini hanno chiarito che gli attentatori erano nel villaggio già da qualche giorno. Che quel giorno casualmente il check point dei militari non c’era, i soldati erano stati richiamati».

Le autorità congolesi hanno condannato a morte cinque persone per quel crimine (una sesta è fuggita). «Ma nessuno ci crede che fossero loro gli attentatori» continua il padre di Attanasio.
La famiglia ha invece chiesto di proseguire le indagini, la Procura di Roma è arrivata a indagare due funzionari – uno congolese, l’altro italiano – del World Food Program, che però sono stati considerati coperti dall’immunità diplomatica.
«Ma lo Stato italiano non si è costituito parte civile in Italia, l’ha fatto solo in Congo» nota amaramente Salvatore Attanasio. «Neppure è stata concessa l’Avvocatura dello Stato. Potremmo dire…schiena curva».
Mattarella ha conferito la Gran Croce d’onore alla memoria di Luca Attanasio
«Luca dava fastidio, aveva scoperto qualcosa di molto grande, di molto imbarazzante. Ma non possiamo permetterlo: altrimenti che Stato saremmo?». Per questo la famiglia Attanasio ha continuato nella sua battaglia, insieme a quella del carabiniere Iacobacci, anche lui morto in servizio per la Repubblica.
Accanto a questo, la famiglia Attanasio continua ad amare il Congo e a tenere i contatti per il bene della popolazione, sull’esempio del figlio. «Luca non era l’ambasciatore classico in giacca e cravatta, ma operava a contatto con la popolazione e anche a favore degli italiani, se c’era da consegnare o firmare un documento andava lui facendosi ore di viaggio. Era una persona con la schiena dritta, in un Paese dove la corruzione è il motore. Con il suo lavoro ha destabilizzato gli interessi, i business di quella zona» continua Salvatore, che è tra gli animatori dell’associazione Amici di Luca Attanasio e sostiene l’associazione Mama Sophia, creata dalla vedova di Luca e che porta avanti progetti sanitari e scolastici nel martoriato Paese africano.
«Quella in Congo non è una guerra civile, ma una guerra guidata esclusivamente da motivi economici» ha ricordato ancora Salvatore Attanasio, richiamando gli interessi delle grandi potenze (Cina e Usa su tutti, con la Ue in secondo piano) su quell’immenso bacino di risorse. L’ultimo capitolo l’invasione del Congo orientale da parte del gruppo M23, appoggiato dal Ruanda, «uno Stato armato fino ai denti e con rapporti internazionali tanto buoni che ha ospitato i mondiali di ciclismo», nella consueta srategia di promozione attraverso lo sport usata da Stati emergenti, spesso non democratici.
Mentre le potenne mondiali si danno battaglia, in Congo la popolazione continua a vivere in condizioni disperate ed esposta a una diffusa violenza. Ma anche alle conseguenze ambientali dello sfruttamento delle risorse minerarie, fuori da ogni regola che vale in Occidente: al circolo Quarto Stato lo ha raccontato Rachele Ossola, chimico ambientale che opera per Source International, piccola ong che lavora nel monitoraggio ambientale nel Sud del mondo. «Ci occupiamo di fornire supporto a comunità che vivono difficoltà rispetto alle industrie estrattive» ha detto Ossola, di ritorno dal Sud del Congo, da quella “copper belt”, ricca di rame e cobalto, da dove viene il 70% del cobalto mondiale usato in particolare per le batterie elettriche.
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