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Bullismo e aggressioni a 13 anni a Saronno: “Il vuoto delle città e i ragazzini violenti”

Il direttore di Villaggio Sos Saronno, Raffaele Moffa, racconta le difficoltà dei ragazzi e le mancanze degli adulti in ascolto e progettualità

baby gang carabinieri

L’ascolto è più efficace del controllo per interrompere la deriva sempre più aggressiva dei ragazzini. Parte da questo concetto l’analisi di Raffaele Moffa, consulente pedagogico direttore del Villaggio Sos di Saronno, rispetto alle aggressioni commesse da un gruppetto 13enni e 14enni ai danni di alcuni coetanei.

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Se i ragazzi aggrediscono per noia

I ragazzini che aggrediscono i loro coetanei, di solito in branco, non lo fanno per necessità economiche: «Si tratta quasi sempre di portar via pochi spicci, magari un telefonino. Qui al Villaggio abbiamo avuto un ragazzino che ha rubato un paio di occhiali a un coetaneo a Milano, città dove pure episodi di questo genere si verificano sempre più spesso. I ragazzi protagonisti di queste aggressioni di solito hanno un tessuto familiare gravoso, ma non così tanto deprivante. Purtroppo e in maniera più grave è manchevole il contesto sociale. Della città, delle città in generale».

Città ricche e vuote allo stesso tempo

«Non vorrei essere frainteso – precisa Moffa – Saranno è una città vivace, ricca di associazioni e proposte, e tanto più lo è Milano. Ma a Milano, come a Saronno, tutto costa. Se non si ha disponibilità economica non si accede a nulla. E, soprattutto, la nostra generazione che si attiva nel creare queste occasioni sembra incapace di comunicare con i ragazzini, incapace di comunicare anche la bellezza, il piacere e le passioni che muovono tutte queste belle proposte».

Questa incomprensione tra generazioni è diversa

Il conflitto tra generazioni e la difficoltà degli adulti di comprendere i ragazzi non è certo una novità «eppure ci sono delle aggravanti in questo momento rispetto al passato, come ad esempio il fatto che nella dipendenza da schermi e telefonini ci siamo dentro anche come adulti e quindi facciamo fatica ad essere d’aiuto per i più giovani – spiega Moffa – E poi c’è questo vuoto, questa mancanza di condivisione, anche banalmente di ritmi quotidiani. Siamo tutti più isolati. Un tempo bastava uscire per trovare coetanei con cui giocare, parlare. I punti di aggregazione ora sono in rete non nelle strade ed è diverso. Le strade sono prive di luoghi dove sostare, incontrare, conoscere. In questo vuoto il gruppo può diventare banda».

I ragazzi non sono un problema ma una risorsa

«Giusto reprimere i comportamenti sbagliati dei ragazzi – afferma il direttore di Villaggio Sos – ma videosorvegliare, controllare e reprimere nel migliore dei casi può riparare un danno, non lo previene e neppure lo risolve. Tanto più che poi su questi ragazzini nessuno investe davvero. Vengono spostati come pacchi da una comunità all’altra per ragioni economiche, di fondi, competenze, senza considerare il percorso e i legami che il ragazzino sta costruendo per ricostruire un’affermazione di sé diversa. Stiamo parlando di minori, ragazzi che stanno formando la propria persona. Che messaggio mandiamo ai ragazzi in difficoltà nel trovare la propria definizione, la propria autonomia? Se la risposta della comunità è questa abbiamo perso tutto. Anche i progetti calati dall’alto sono destinati a non incidere. Le proposte per i ragazzi devono avere un’ottica partecipativa, sin dalla loro progettazione».

L’ascolto è più efficace del controllo e ha bisogno di spazio

«Bisogna pensare a come incanalare in maniera positiva l’energia dei ragazzi, perché sia costruttiva e non distruttiva. Bisogna dargli l’occasione di costruirsi quello spazio di cui hanno bisogno per crescere, trovare la propria identità. Non possiamo costruirlo noi adulti per loro. Diamo loro la possibilità e lasciamo che lo costruiscano uno spazio dove trovarsi fisicamente, dove abbiano a disposizione ciò che gli interessa: console, connessione, computer. Proviamo a entrare nel loro mondo, ad ascoltarli e allora sì avremo l’occasione di mostrare loro anche altro di bello e costruttivo». 
«Deve essere una scelta politica – afferma Moffa – guardare ai ragazzi come una risorsa, non un problema. Impariamo come adulti a progettare per loro assieme a loro aiutandoli così a trovare la loro autonomia».

Mediazione culturale nei tempi e nello spazio

«Così com’è importante creare un ponte di comunicazione tra generazioni differenti è fondamentale creare occasioni di scambio, condivisione e comprensione tra culture differenti – afferma Moffa –. Se tutti gli adolescenti vivono con difficoltà e conflitto la definizione di se stessi, per i ragazzi di seconda generazione la difficoltà è doppia perché sentono di appartenere a due culture, quella in cui sono cresciuti e quella dei genitori che naturalmente hanno bisogno di scoprire e conoscere. Devono avere la possibilità di conoscere le diverse culture in un contesto anche questo caso di ascolto, mediazione, scambio e non certo di conflitto».

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Pubblicato il 24 Febbraio 2022
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