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In ricordo di Noemi, giovane calciatrice del Csi

Il ricordo di un ex-allenatore della giovane atleta trovata ieri senza vita. In molti hanno scritto frasi sui social per ricordarla

noemi brunato

Riceviamo e pubblichiamo un ricordo di Noemi Brunato, una ragazza di 23 anni scomparsa mercoledì mattina ricordata da numerosi post e messaggi di amici, conoscenti, colleghi e colleghe e soprattutto compagne di squadra e avversarie che l’hanno incrociata sui campi della provincia. Era residente a Tradate, lavorava in un bar di Locate Varesino ed era giocatrice della squadra di calcio a 7 del Beata Giuliana di Busto Arsizio, che milita nel campionato Csi.

Una notizia tragica, di quelle che non vorresti mai sentire, ha iniziato a diffondersi. Da mercoledì sera i telefoni non smettono di squillare: messaggi, post, foto, raccontano quanto il nostro mondo del calcio femminile sia una piccola, grande famiglia che oggi ti piange, addolorata per non averti “capita e ascoltata”. Difficile trovare un senso. Il calcio ci fa indossare una corazza che ci rende persone capaci di affrontare le sfide.

Quando ci si incontrava su un campo, ad esempio, sembravi ben consapevole delle tue capacità e della tua forza: ai nostri occhi saresti stata in grado di dribblare tutte portando palla con il tuo mancino, arrivare di fronte al portiere e, senza esitazione, segnare una rete per poi correre ad esultare abbracciando le tue compagne.

Purtroppo però, al fischio finale, quella corazza cade e i problemi che ci attanagliano prendono posto nella nostra mente, annientando le emozioni che l’adrenalina appena provata sul rettangolo verde ci ha regalato.
Quella stessa determinazione che si intravedeva nell’espressione sfacciata con cui guardavi negli occhi trasmetteva tutta la tua “forza”: quella stessa “forza” che spingeva giocatrici e allenatori a temerti e ad avere un occhio di riguardo nei tuoi confronti; quell’occhio di riguardo nei tuoi confronti che però, forse, non tutti siamo riusciti a rivolgerti fuori dal campo.
Il periodo difficile che stiamo vivendo ci sta rivelando fragilità che pensavamo di poter sopportare o quantomeno affrontare a muso duro con la forza delle nostre passioni.

Molte volte si sottovaluta quanto un semplice sport possa in realtà essere un salvagente a cui aggrapparsi nei momenti di maggiore difficoltà: la situazione recente ci ha impedito di frequentare le compagne tra allenamenti e uscite, di scambiare opinioni con un dirigente, di ricevere i complimenti da un allenatore dopo una partita, una pacca sulla spalla da una giocatrice o le parole incoraggianti di chi è venuto a vederti. Queste mancanze sarebbero state una via d’uscita, magari momentanea, da quei “mostri” che inevitabilmente ognuno di noi porta dentro: incubi che, preso il sopravvento, inducono ad abbandonarsi alla sofferenza e alla solitudine.

Ci sono tanti tipi di solitudine. Non è soltanto quando ci si sente soli in mezzo alla folla, cosa che succede sempre a tutti. La SOLITUDINE è quando pensi di non avere più niente. Niente e nessuno. Stai affogando e nessuno viene a salvarti.
Se solo avessimo saputo, se solo avessimo potuto, avremmo scritto un finale diverso.

Orlando Mastrillo
orlando.mastrillo@varesenews.it
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Pubblicato il 05 Febbraio 2021
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