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Univa: ordinativi in calo nell’80% delle imprese

L'export del made in Varese verso la Cina si attesta al -32%. Due imprese su tre denunciano problemi nella gestione delle attività, tra queste il 66% dichiara una mancanza di liquidità medio/alta. Il presidente Grassi: “Il Paese ha bisogno di una forte proposta comune Confindustria-sindacati”

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Nel primo trimestre dell’anno l’export della provincia di Varese è calato del -3,9% (fermandosi a quota 2,4 miliardi di euro) contro una contrazione meno consistente sul piano nazionale, dove la flessione registrata è stata nell’ordine di un più contenuto -1,9%. Con un dato su tutti da tenere d’occhio, quel -32% del made in Varese nei confronti della Cina, primo Paese a entrare in lockdown, che rischia di far da termometro precognitivo di una situazione che si è poi estesa ai vari continenti.

Ma l’export non è la sola voce a preoccupare l’industria all’ombra delle Prealpi, come è emerso durante l’ultima riunione del Consiglio generale dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese che sul tavolo di una videoconferenza convocata per fare il punto della situazione attraverso delle infografiche interattive preparate dall’Ufficio Studi Univa ha messo anche l’andamento del ricorso delle imprese agli ammortizzatori. Risultato: «Uno scenario impietoso che indica bene quale sia la vera emergenza, ossia il lavoro», ha commentato il presidente Roberto Grassi.

Nei primi 5 mesi del 2020 le ore autorizzate di cassa integrazione ordinaria, straordinaria e in deroga sono state pari a 10 volte quelle dello stesso periodo del 2019. Un aumento di oltre l’800% che è più o meno lo stesso livello di incremento che si registra a livello nazionale.

Per quanto riguarda lo spaccato per settori, il ricorso ricalca il peso dei singoli comparti nell’economia locale, con la maggior concentrazione delle ore in quelli più rappresentativi come il metalmeccanico (che si ritaglia una quota del 46% delle ore totali autorizzate), servizi di trasporto e comunicazioni che comprende anche le attività aeroportuali di Malpensa (19%), il tessile e abbigliamento (13%), il chimico-farmaceutico, gomma e materie plastiche (12%). Da notare l’avvio di procedure di cassa anche nel settore alimentari e bevande (2% sul totale) che nello stesso periodo di gennaio-maggio di un anno fa non aveva fatto nemmeno un minuto di riduzione d’orario di lavoro.

A fare da cartina di tornasole di questo quadro è il consumo energetico delle imprese che, secondo i dati del Consorzio dell’Unione Industriali, Energi.Va, è calato, rispetto agli stessi mesi di un anno fa, del -17,9% a marzo, del -34% ad aprile, del -19,8% a maggio. E poi la priorità delle priorità: la liquidità. L’Ufficio Studi di Univa ha elaborato i dati varesini di una survey nazionale lanciata da Confindustria a inizio maggio. Il campione locale d’imprese ha evidenziato in 2 casi su 3 problemi nella gestione delle attività aziendali. Tra queste imprese il 66% ha dichiarato una mancanza di liquidità medio/alta, ponendo questa come la vera priorità. Ciò che manca nel motore dell’economia varesina è la benzina della domanda. Come dimostrano altri dati che emergono da una survey svolta sempre dall’Ufficio Studi di Univa tra l’industria locale sul trend degli ordinativi che risultano: fortemente in ribasso (oltre -30%) nel 36,6% dei casi; mediamente in ribasso (tra -10% e -30%) nel 34,9%; leggermente in ribasso (tra -10% e invariati) nel 9,9%; invariati nel 6%; leggermente in rialzo (tra +5% e +10%) nel 4,3%. in rialzo oltre il 10% nel 5,6%.

Il commento del presidente Roberto Grassi
«I dati parlano chiaro, c’è poco da aggiungere alla fotografia dei numeri, se non la preoccupazione degli imprenditori per la tenuta sociale del Paese e del territorio in autunno, quando molti dei nodi attuali verranno al pettine. Rimane sul tappeto la proposta di interventi di Confindustria, volta non a mettere delle pezze con incentivi e sostegni a pioggia (non servirebbe a niente), ma a dare una prospettiva di crescita alla nostra economia. Occorre prevedere un piano di riduzione del cuneo fiscale per ridurre il costo del lavoro alle imprese e aumentare il reddito dei lavoratori. Bisogna sbloccare i cantieri per realizzare quelle infrastrutture strategiche attese da anni. Serve rendere strutturale il Piano Industria 4.0 per traghettare fuori dal guado le imprese che hanno avviato il proprio percorso di piena maturazione digitale. Bisogna guardare all’Europa con fiducia e sapendo coglierne le opportunità, non solo sul fronte del Mes e del Recovery Fund, ma anche di quel Green New Deal lanciato dalla Commissione Ue che offre importanti risorse e opportunità alle imprese e alla loro riconversione verso un’economia sostenibile. Tema dirimente, di cui si è persa ogni traccia nel dibattito politico. Infine, si deve intervenire in maniera diversa sul mercato del lavoro. Non bastano gli strumenti di sostegno al reddito. Bisogna invertire il trend occupazionale e sostenerlo reintroducendo maggiore flessibilità ripristinando i vecchi meccanismi dei contratti a termine cancellati dal Decreto Dignità. Come parte sociale siamo chiamati a fare la nostra parte: come Univa crediamo sia necessario continuare il confronto con le organizzazioni sindacali per integrare il Patto per la Fabbrica, condividendo linee di intervento su temi di interesse comune che possano essere proposte, recepite e trasformate in azioni politiche da chi ha il compito di governare il Paese, valorizzando così il ruolo dei corpi intermedi, di cui, mai come in questo momento abbiamo così bisogno».

Redazione Saronnonews
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Pubblicato il 20 Luglio 2020
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