Da Hiroshima a Fordow: il ritorno della guerra strategica totale
Il 21 giugno 2025, con una decisione destinata a segnare un prima e un dopo nella storia militare globale, il presidente Donald Trump ha autorizzato un attacco aereo diretto contro tre siti nucleari iraniani: Fordow, Natanz e Isfahan

Il 21 giugno 2025, con una decisione destinata a segnare un prima e un dopo nella storia militare globale, il presidente Donald Trump ha autorizzato un attacco aereo diretto contro tre siti nucleari iraniani: Fordow, Natanz e Isfahan. L’operazione, condotta con bombardieri stealth B-2, ha previsto l’impiego della GBU-57 Massive Ordnance Penetrator, la bomba convenzionale più potente mai prodotta: oltre tredici tonnellate di acciaio, progettata per penetrare bunker sepolti fino a 61 metri nel sottosuolo prima di esplodere. Sei di queste bombe sono state sganciate su Fordow, mentre almeno altre due hanno colpito Natanz. A supporto, sono stati lanciati una trentina di missili Tomahawk verso altri obiettivi strategici.
LA SCELTA DEGLI STATI UNITI
Gli Stati Uniti erano pronti da tempo a questa possibilità. Secondo un articolo del New York Times del 2019, il Pentagono aveva costruito una replica dell’impianto sotterraneo iraniano nel deserto e aveva collaudata proprio la GBU-57. Una versione altamente classificata del video che documentava l’attacco fu mostrata, durante l’amministrazione Obama, dal segretario alla Difesa Leon Panetta all’allora ministro della Difesa israeliano Ehud Barak. “La bomba distrusse la struttura fittizia nel deserto,” riportava il quotidiano americano. Era una dimostrazione di forza, riservata a pochi occhi selezionati. Oggi, quello scenario segreto è diventato realtà su scala globale.
L’arma scelta per condurre l’attacco aggiunge un ulteriore livello simbolico e tecnologico all’intera operazione: il bombardiere strategico B-2 Spirit. Prodotto dalla Northrop Grumman a partire dalla fine degli anni Ottanta, è l’aereo militare più costoso mai realizzato: circa 2,1 miliardi di dollari per esemplare. Progettato per sfuggire ai radar grazie a una sofisticata tecnologia stealth, ha una capacità operativa intercontinentale, con un raggio d’azione superiore a 11.000 km senza bisogno di rifornimenti. Ne esistono solo 21 esemplari al mondo. La scelta di impiegare il B-2 non è stata solo tattica, ma altamente simbolica: un aereo concepito per la guerra nucleare globale, riattivato per colpire un sito nucleare in un’operazione chirurgica. Come se la tecnologia della deterrenza assoluta fosse stata riconvertita in strumento chirurgico della geopolitica contemporanea.
Trump ha definito l’operazione un “spettacolare successo militare” e ha assicurato che tutti gli aerei sono rientrati alla base senza perdite. Fordow, a quanto dichiarato dai media iraniani, era parzialmente evacuato, e non ci sono stati rilasci radioattivi. Ma il messaggio, più che operativo, è stato politico. Un messaggio indirizzato non solo all’Iran, ma al mondo intero.
IL COMMENTO DI NETANYAHU
Benjamin Netanyahu ha subito elogiato la decisione, dichiarando che “la possente e giusta potenza degli Stati Uniti cambierà la storia”. Negli Stati Uniti, invece, si è aperta una profonda spaccatura politica: da un lato i repubblicani favorevoli all’intervento, dall’altro i democratici, tra cui Schumer, Jeffries e Ocasio-Cortez, che hanno denunciato l’azione come incostituzionale, chiedendo l’applicazione del War Powers Act e ventilando persino l’impeachment. Le Nazioni Unite, con un comunicato del Segretario Generale António Guterres, hanno condannato l’attacco come “una pericolosa escalation” e “una minaccia per la pace internazionale”.
In Iran le autorità hanno cercato di minimizzare i danni, ma gli analisti sono concordi: se il regime deciderà di reagire, è probabile che lo farà attraverso canali indiretti, con operazioni dei propri gruppi alleati regionali, o con un gesto clamoroso, come il blocco dello Stretto di Hormuz. Intanto, la vera posta in gioco si fa più profonda. La conoscenza scientifica, come la memoria storica, non può essere bombardata: la capacità nucleare di Teheran non è stata cancellata, e l’attacco potrebbe rafforzare le spinte interne ad acquisire, per davvero, l’arma atomica come deterrente.
I TRE TABU’ VIOLATI
L’attacco del 21 giugno rappresenta, sotto ogni profilo, uno spartiacque storico. Non solo perché inaugura una nuova fase del confronto USA-Iran, trasformando la guerra ombra in scontro diretto, ma perché viola simultaneamente tre tabù che la comunità internazionale aveva faticosamente mantenuto vivi dalla fine della Seconda guerra mondiale.
Il primo tabù infranto riguarda proprio l’uso della GBU-57. Fino a ieri, questa bomba rappresentava una minaccia teorica, un deterrente estremo. Ora è diventata un’opzione concreta di politica estera. Il suo impiego sancisce l’abbattimento di un limite: quello tra la minaccia implicita e l’attacco effettivo, tra il possibile e il reale. Il secondo tabù è ancora più delicato: l’attacco diretto a un sito nucleare attivo, appartenente a uno Stato firmatario del Trattato di Non Proliferazione, e sottoposto alla supervisione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Fordow non era un impianto militare segreto: era un sito fortificato, ma regolarmente ispezionato. Colpirlo equivale a sancire che nessuna infrastruttura strategica è più off-limits. La linea tra dissuasione e attacco preventivo è stata cancellata.
Il terzo tabù riguarda il quadro geopolitico globale. La partecipazione aperta degli Stati Uniti a un attacco portato inizialmente da Israele inaugura una nuova stagione. Non siamo ancora davanti a una guerra dichiarata, ma le conseguenze sono reali: le alleanze regionali si ridisegnano; il mercato del petrolio torna sotto pressione, con il rischio concreto di blocchi e inflazione globale; la Cina e la Russia trovano una nuova occasione per legittimare la loro narrazione antiamericana, rafforzando i legami con Teheran e presentandosi come garanti alternativi di sicurezza internazionale. Anche il diritto internazionale riceve un colpo durissimo: colpire un sito civile senza mandato ONU, sulla base di una minaccia percepita, allarga la frattura tra l’Occidente e il Sud globale.
Il bombardamento di Fordow, Natanz e Isfahan è una dichiarazione di principio: la deterrenza nucleare non è più necessaria per innescare un’azione devastante; basta essere percepiti come una minaccia futura. Si apre una nuova era, in cui la soglia dell’azione militare è più bassa, più rapida, e paradossalmente più spettacolare che mai. Ma come ammoniva Clausewitz, gli esiti di una guerra non sono mai sotto controllo di chi spara il primo colpo.
IL COLLEGAMENTO CON HIROSHIMA E NAGASAKI
C’è un collegamento simbolico, e profondamente inquietante, con Hiroshima e Nagasaki. Non perché siano state usate armi atomiche, in questo caso sono bombe convenzionali, ma per il significato morale e strategico dell’azione. Anche stavolta, gli Stati Uniti hanno usato un’arma mai impiegata prima per riaffermare la propria superiorità geopolitica. Anche stavolta, si è invocata la pace per giustificare un’esplosione. Truman dichiarò che Hiroshima serviva a salvare milioni di vite ed evitare l’invasione del Giappone; ma aprì il vaso di Pandora della corsa agli armamenti. Trump ha detto che l’attacco a Fordow era necessario per distruggere una minaccia e ristabilire l’equilibrio nella regione. Ma ha legittimato l’uso della forza preventiva su impianti civili, creando un precedente devastante.
Hiroshima fu una soglia oltre la quale nessuno ha più osato passare, perché l’orrore fu tale da generare una deterrenza globale. Fordow, al contrario, segna una soglia abbassata: rende pensabile ciò che fino a ieri sembrava inaccettabile. Se la bomba atomica trasformò la guerra in un rischio esistenziale per l’umanità, la bomba bunker-buster rischia di trasformarla in un’operazione chirurgica accettata, legale e ripetibile.
E mentre il mondo discute di profondità di penetrazione e traiettorie ipersoniche, arrivano parole semplici da una voce lontana, che merita di essere ascoltata. Ieri mattina, prima che tutto accadesse, mio zio Emilio mi scriveva con la lucidità tranquilla di chi ha attraversato quasi un secolo:
“In 80 anni di benessere crescente, o non abbiamo scoperto o ci siamo dimenticati, che alla base di una convivenza pacifica devono essere coltivati quotidianamente il rispetto degli altri e la condivisione di quanto abbiamo. Il ritorno dell’uso della forza è l’unica arma di chi è stato lasciato ai margini, persona o nazione; sembra che siamo solo all’inizio di una china di cui non si vede un punto di possibile inversione, con un effetto domino crescente.”
In un mondo che si arma per non ascoltare, queste parole suonano come un monito. Non serve essere esperti di geopolitica per capire che, se dimentichiamo l’arte della convivenza, ci ritroveremo sempre più spesso davanti a bunker da perforare, o da costruire.
“Gli Stati non hanno né amici permanenti né nemici permanenti: hanno solo interessi”, Henry Kissinger.
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