Sergio Michilini: dalla stazione di Cavaria ai murales di Managua
Il viaggio “in direzione ostinata e contraria” di un artista friulano cresciuto nel Varesotto e protagonista della pittura murale latinoamericana

C’è una frase di Fabrizio De André che Sergio Michilini ama ripetere: “Viaggiare in direzione ostinata e contraria”. È il filo rosso che attraversa tutta la sua vita, artistica e personale. Nato in Friuli e cresciuto nel Varesotto, Michilini ha sempre scelto strade alternative, lontane dalle mode dominanti, per restare fedele alla grande tradizione pittorica italiana e restituirla a una dimensione pubblica, collettiva e sociale.
Le origini: pittura come artigianato e racconto
La storia di Michilini inizia negli anni Sessanta, tra Cavaria e Oggiona Santo Stefano. È qui che, poco più che adolescente, decide di dedicarsi alla pittura, affascinato dalla lunga tradizione che da Giotto e Masaccio arriva fino ai maestri del Novecento. «La nostra arte – racconta – è sempre stata narrativa, didattica, sacra. Ha aiutato le persone a pensare, a meditare, a conoscere».
Negli anni del boom economico e dell’egemonia culturale statunitense, però, quella tradizione sembrava destinata a scomparire, soppiantata da espressionismo astratto, pop art e installazioni. «Si voleva cancellare la pittura e con essa la riflessione», ricorda Michilini, denunciando un sistema dell’arte contemporanea che considera “mafioso” per la sua capacità di imporre mode e gerarchie.
In questo clima, determinante fu l’incontro con don Ireneo, parroco partigiano di Oggiona, che negli anni Settanta intuì l’importanza di difendere la “bellezza italiana” e offrì a Michilini e ad altri giovani artisti i primi spazi per esprimersi. Nacquero così le prime opere pubbliche, come i pannelli ceramici per la chiesa di Oggiona e la Via Crucis in terracotta, ancora oggi tra i lavori giovanili più apprezzati dall’artista.
IL VIDEO INTEGRALE DELL’INTERVENTO DI MICHILINI
La scoperta della pittura murale e il richiamo dell’America Latina
Un momento chiave fu la mostra a Firenze del 1976 dedicata a David Alfaro Siqueiros, uno dei grandi muralisti messicani. Da lì nacque in Michilini la consapevolezza di quanto la pittura murale potesse essere strumento di narrazione collettiva e trasformazione sociale, proprio come lo era stata in Italia dal Medioevo al Rinascimento.
Nel 1980 arrivò la svolta: grazie a un progetto finanziato dal governo italiano, Michilini partì per il Nicaragua, nel pieno della rivoluzione sandinista. A Managua fondò e diresse la Scuola Nazionale di Arte Pubblica Monumentale, la prima istituzione pubblica dell’America Latina dedicata alle arti murali e alla cosiddetta integrazione plastica – la fusione di pittura, scultura e architettura nello spazio urbano.
«Abbiamo insegnato mosaico, ceramica, affresco, scultura e vetrate, ispirandoci al modello delle botteghe rinascimentali e al Bauhaus – spiega – ma con una prospettiva nuova: l’arte come strumento per migliorare la vita quotidiana delle persone».
Il concetto chiave era che “la forma segue il buon vivere”: ogni opera doveva rispondere alle esigenze di chi avrebbe abitato o attraversato quello spazio, che fosse un quartiere, un ospedale o una chiesa.
Un artista globale con radici italiane
Da Managua, Michilini ha portato il suo messaggio in tutta l’America Latina: Brasile, Cuba, Messico, Cile. Ha realizzato pannelli ceramici, murales monumentali e progetti urbani sempre ispirati al dialogo tra arte, architettura e comunità.
È stato inserito nella prestigiosa Enciclopedia Treccani dell’Arte Contemporanea per un’opera realizzata in una chiesa di Managua, dove l’uso di superfici concave e diagonali trasforma la percezione dello spettatore e rende l’immagine dinamica e partecipata.
Parallelamente, Michilini non ha mai abbandonato la pittura da cavalletto, reinterpretando i classici come Tiziano in chiave centroamericana e affrontando temi universali come la creazione e il destino della civiltà occidentale.
Il ritorno in Italia: un ponte tra due mondi
Dopo decenni trascorsi in Nicaragua – dove vive tuttora – Michilini è recentemente tornato in Italia per un nuovo progetto: un ciclo di sei grandi pannelli murali in una chiesetta settecentesca dei Monti Dauni, in Puglia, finanziato con fondi PNRR per la valorizzazione dei borghi storici.
I soggetti spaziano da Sant’Antonio Abate alle Tentazioni del deserto, dal Battesimo di Cristo ispirato a Masolino da Panicale alla Resurrezione evocata con il linguaggio drammatico del Guernica di Picasso. Un pannello raffigura il Buon Samaritano, di fronte al quale una barca che affonda nel Mediterraneo denuncia la tragedia contemporanea delle migrazioni.
«Ho voluto portare un po’ del Varesotto in Puglia – racconta – e allo stesso tempo raccontare l’oggi, con le sue sfide e le sue contraddizioni».
Sergio Michilini guida la rinascita artistica della chiesa di San Giovanni a Rocchetta Sant’Antonio
L’arte come atto di resistenza
Oggi Sergio Michilini continua a dipingere e a scrivere – ha raccolto decine di saggi nel volume Paura alla pittura – restando fedele alla sua idea di arte come strumento di verità, bellezza e umanità.
«Se non stai nel mercato sei un artista morto, dicono. Allora sono un artista morto, ma ho vissuto bene – sorride –. Tutto ciò che faccio è per consegnare alla morte una goccia di splendore, di umanità e di verità».
In fondo, come De André, Michilini ha scelto di viaggiare “in direzione ostinata e contraria”. E proprio per questo il suo cammino continua a parlare a chi vede nell’arte non solo bellezza, ma anche resistenza, memoria e speranza.
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