Varese, terra di volo, moto, bici e la memoria di Gianni Spartà
A noi, al di là della cronaca giudiziaria che coinvolge Castiglioni, come comunità e come giornale, interessa ricordare la storia, i nomi, le scelte che hanno fatto di Varese una capitale delle moto. Perché i processi passano, le sentenze si appellano. La memoria industriale, invece, resta

Il Tribunale di Varese ha pronunciato la sentenza di primo grado nel procedimento sul cosiddetto “crack Castiglioni/Casti Group”: cinque condanne (34 anni complessivi), un’assoluzione e provvisionali per le parti civili. Le difese hanno già annunciato appello.
Questa è la cronaca. Ma qui vogliamo allargare lo sguardo: chi siamo diventati, grazie a quel nome, in riva al lago di Varese? Quale tessuto industriale, quali intuizioni hanno fatto sì che la nostra provincia fosse riconosciuta nel mondo per le moto?
Le radici: quando erano biciclette (1903–1936). Tradate/Frera. All’inizio furono le bici. Frera nasce come fabbrica ciclistica (1903) e diventa casa motociclistica nel 1905. È tra i primissimi marchi italiani, con stabilimento a Tradate, sede commerciale a Milano, commesse dal Regio Esercito. Chiude nel 1936. Dal 2005, nell’ex stabilimento vive il Museo della Motocicletta Frera, custode delle nostre radici meccaniche.
Dal cielo alla strada: Aermacchi e la scuola di Schiranna (1951–1972). Dalla tradizione aeronautica nasce nel dopoguerra la linea Aermacchi moto: Chimera, Ala Verde, Ala d’Oro. Sede: Schiranna, sul lago. Negli anni ’60 arriva l’accordo con Harley-Davidson, poi il pieno controllo nel 1972. Nel 1978 la proprietà americana chiude: la Schiranna rischia di spegnersi.
Lo spartiacque del 1978: entrano i Castiglioni. Cagiva (CAstiglioni GIovanni VArese) rileva la fabbrica ex Aermacchi/Harley. I fratelli Claudio e Gianfranco Castiglioni salvano impianto e posti di lavoro. Già nel 1979 la produzione sfiora 40.000 moto/anno: il nome Varese torna nelle corse e nei listini di mezzo mondo.
L’età dell’oro (1978–1990). Prodotti e corse. Dai 125 stradali (Freccia) all’off-road (WMX), fino ai bicilindrici Ducati. Arrivano titoli mondiali nel Motocross 125 e imprese leggendarie come la Dakar vinta da Edi Orioli.
Le mosse strategiche dei Castiglioni in 3 atti: Ducati (acquisita nel 1985), Husqvarna (fine anni ’80), e, infine, MV Agusta (marchio acquisito nei primi ’90). Attorno a Schiranna si forma un vero distretto: officine, telai, componentistica. Varese diventa sinonimo di moto.
Il mito MV Agusta: la moto con sette vite scrive Gianni Spartà nel suo blog: “Tutti la vogliono, tutti la lasciano, tutti se la ricomprano la bella creatura dalle ciglia dipinte di rosso e d’argento”, perché “Claudio Castiglioni fabbricava sogni, non motociclette.” Parole che restituiscono l’essenza: il fascino di un marchio che attraversa decenni, crisi, proprietà e resta desiderato perché unico.
Negli anni 1978–1990 cambiano davvero molte cose. Le maestranze Aermacchi vengono riassorbite. La fabbrica non muore, anzi diventa bandiera. Corse, titoli e marketing ridanno a Varese un ruolo globale. In questo modo si tengono insieme, ancora una volta, i fili ricuciti di una storia che ci appartiene: da Frera, a Aermacchi, da Cagiva a MV.
Per completare questo quadro abbiamo chiesto una testimonianza al cronista e scrittore che più di tutti ha raccontato la nostra provincia: Gianni Spartà.
Come è potuto accadere tutto questo?
“Gianfranco Castiglioni è un uomo che ha sbagliato, soprattutto in famiglia. Ha reso titolari i figli di società nelle quali loro non avevano mai messo piede. Lo sanno tutti. Gianfranco Castiglioni è stato un imprenditore usato, che si è fatto usare: le ex Partecipazioni Statali gli hanno fatto comprare aziende decotte, Franco Tosi, Acciaierie di Dongo, una fonderia a Spoleto. Unico affare l’acquisto della Ducati, il resto corde al collo. Lui non sapeva dir di no, era una specie di Ligabue. Non ha pagato tasse e contributi, ma il conto gli è stato presentato dopo. Subito ci fu euforia di ministri e sindacati: salvati posti di lavoro, siamo stati bravi. Come ha ben spiegato il tribunale di Varese”.
Facendo due passi indietro, cosa significò per Varese il passaggio nel 1978 da Aermacchi/Harley Davidson a Cagiva?
“Solo due fratelli pazzi potevano farsi carico di ciò che gli americani avevano abbandonato perché le cose andavano male. Ma loro ebbero successo inventandosi la Cagiva che tutti scambiavano per giapponese, pensando all’assonanza con Kurosawa, e invece era l’acronimo di Castiglioni Giovanni Varese. Ricordo camion dei concessionari assiepati in piena notte davanti allo stabilimento redivivo di Schiranna per essere tra i primi a caricare all’alba migliaia di pezzi. In quegli anni Battisti cantava: Motocicletta 10 Hp e i ragazzi cavalcavano in massa lucenti Cagiva e strepitose Husqvarna, vanto dell’industria nazionale dell’epoca. Un fenomeno finito nei libri di storia economica”
Tu hai scritto che “Claudio Castiglioni fabbricava sogni, non motociclette”: cosa intendevi?
“Che Claudio era un magnifico e testardo visionario. Affiancato dal designer emiliano Massimo Tamburini sfornò modelli stupefacenti per bellezza e potenza. Vendite a gogò. Quando morì il 17 agosto del 2011 i frati della Brunella acconsentirono che fosse portata una sua moto in chiesa vicino alla bara. All’uscita centinaia di motociclisti con in testa Giacomo Agostini intonarono il “minuto di casino” a tutta manetta per salutare il grande sognatore. Mai un funerale fu così rumoroso”.
Che rapporto c’era fra distretto industriale e mito sportivo (Motocross, Dakar, GP)?
“Un rapporto tiepido al di là della facciata. I Castiglioni erano dei solisti, non ci fu mai verso di affiliarli in qualche categoria confindustriale”
Come spieghi la persistenza magnetica del marchio MV, “tutti lo vogliono e tutti la lasciano”?
“Traducendo il marchio: Meccanica Verghera, azienda nata nella brughiera di Malpensa per iniziativa dei conti Agusta che fabbricavano moto e vincevano i gran premi. Nel dopoguerra si convertirono all’aeronautica, meglio, ci ritornarono, ma con gli elicotteri prodotti su licenza degli americani della Bell. Il marchio era finito in soffitta. Claudio, prima della separazione industriale dal fratello Gianfranco, lo comprò all’asta intuendo che quelle due lettere, la M e la V, sormontate da un ingranaggio meccanico avevano ancora molto da raccontare sul mercato delle motociclette di lusso. Ho scritto che MV ha sette vite come i gatti contando quanti passaggi di proprietà ci sono stati prima dell’approdo nel portafoglio finanziario del figlio di un oligarca russo” .
Qual è l pezzo di eredità più forte che resta oggi a Varese di quella stagione?
“Restano le competenze di una aristocrazia operaia capace di assemblare motori di veicoli a due ruote. E questo è un patrimonio del nostro territorio”.
Se dovessi raccontare ai giovani cosa fu la Schiranna negli anni ’80, che immagine sceglieresti?
“Sceglierei quell’aereo in livrea arancione montato su un piedistallo all’ingresso della fabbrica in riva al lago di Varese. È l’MB 326 progettato dall’ingegner Ermanno Bazzocchi e venduto alle forze aeronautiche di mezzo mondo: 800 esemplari tra gli anni ’60 e 70. Un binomio inscindibile tra motociclette e velivoli, il simbolo della stagione più felice dell’industria varesina”.
È affascinante ascoltare il racconto di un osservatore acuto come Spartà, che ha vissuto in prima persona, e spesso anche dietro le quinte, tante stagioni e trasformazioni del nostro territorio. Potremmo stare qui tutta la notte, e ne usciremmo con gli occhi umidi. Grazie.
È bene ribadirlo, a tutela di tutti: siamo al primo grado. Nessuno è colpevole fino alla sentenza definitiva. Ma non è questa la parte che ci interessa di più, ora. A noi, come comunità e come giornale, interessa ricordare la storia, i nomi, le scelte che hanno fatto di Varese una capitale delle moto. Perché i processi passano, le sentenze si appellano. La memoria industriale, invece, resta.
Foto di archivio di qualche anno fa
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