A Materia il blues che parla ancora dal cuore all’animo
Venerdì 18 luglio a Materia arriva il racconto di Fabrizio Poggi, grande bluesman e armonicista candidato ai Grammy

Con la voce ruvida e autentica, il blues è la musica di chi ha imparato a sopravvivere cantando. Genere fondativo per la moderna musica leggera, le sue radici provengono d’oltreoceano, antiche e indissolubilmente legate al colonialismo inglese nel cosiddetto “nuovo mondo”.
La definizione data da Ezio Guaitamacchi nella sua Storia del rock restituisce con una frase un complesso (e doloroso) meccanismo socio-culturale che caratterizza la nascita della musica “afroamericana” (termine oggi giustamente messo in discussione): «La nascita del blues è un avvenimento assolutamente singolare, che deriva dall’impatto di due civiltà, una delle quali, quella africana, pesantemente prevaricata dall’altra, bianca, di matrice europea».
Prima ancora di chiamarsi “blues” – e marcare nei titoli delle canzoni ogni genere di sostantivo – la “musica del diavolo” prende forma dalle melodie dei black americans: canti e lamenti spezzati sotto il sole e tra i solchi delle piantagioni nel sud degli Stati Uniti. Rudimentali e per questo ancora più potenti, le worksongs e i jubilee parlavano, in maniera diretta e con il cuore in mano, di angoscia, di frustrazione, di tristezza («to be blue»), ma anche di speranza.
Prima dell’elettrificazione e dell’abolizione della schiavitù, gli strumenti erano poveri e inventati: una bottiglia come slide, un filo teso su una cassa come basso, il battito del piede a fare da percussione. È da questi gesti che prende forma una lingua musicale che parla direttamente all’animo. Col tempo, come ogni genere, anche il blues si codifica: nasce la struttura a dodici battute, si moltiplicano i dischi. Ciò che rimane intantto è però l’essenza stessa. È una musica per certi versi istrionica, ma che non si può recitare se non si possiede il fuoco sacro.
Ecco perché molti dei primi bluesman sembrano figure leggendarie, sospese tra storia e mito. Come Robert Johnson, il cui talento, si dice sbocciò all’improvviso, tanto da alimentare la diceria – mai del tutto smentita – di un patto col diavolo. Pochi dischi, tre foto, una vita brevissima, il primo grande grande musicista della popular music a scomparire a 27 anni.
Negli Anni Trenta e Quaranta, il blues lascia i campi e si fa strada nelle città: a Chicago, Memphis, Detroit. Cambia strumenti, si elettrifica appunto, si fonde con altri suoni. Ma non cambia pelle. Resta voce di chi sta ai margini. Di chi viaggia per fame o per fuga. Di chi porta addosso il peso di un’identità negata. Anche per questo, più di altri generi, il blues resiste al tempo.
«Il blues ha avuto un figlio, lo hanno chiamato rock’n’roll» è una frase di Muddy Waters che si trova su molti manuali di storia della musica. Noi gli rispondiamo citando un Freak Antoni: “La storia gli ha dato ragione”: senza il blues non ci sarebbe stato il rock, né il soul, né buona parte che oggi ascoltiamo in cuffia dalle piattaforme di Streaming. Ma mentre i figli si sono fatti grandi e spesso hanno dimenticato le proprie radici, il blues ha continuato a parlare la sua lingua schietta e profonda.
Lo ha fatto anche grazie a musicisti capaci di attraversare il tempo senza perdere il contatto con la verità originaria di questo suono. Tra loro c’è Fabrizio Poggi, armonicista, cantante e autore italiano che con il blues ha stretto un legame profondo. La sua storia è quella di un artista che ha saputo attraversare l’oceano, non solo in senso geografico.
Dalla provincia italiana ai Grammy Awards, dai club texani alla Carnegie Hall di New York, Poggi ha portato la sua armonica nelle vene del blues mondiale. La sua carriera, coronata nel 2024 dal conferimento dell’onorificenza di Cavaliere della Repubblica, racconta cosa può essere il blues oggi senza rimanere chiuso nel passato. Un ponte tra i mondi.
Poggi ha collaborato con leggende come Guy Davis, Blind Boys of Alabama, Steve Cropper, Eric Andersen. Ha inciso ventisei dischi, scritto libri, tenuto lezioni alla Berklee.
Venerdì 18 luglio, alle 21, Fabrizio Poggi sarà ospite a Materia – lo spazio libero, in via Confalonieri 5 a Sant’Alessandro di Castronno, per una serata, a ingresso gratuito, tra parole e canzoni, accompagnato alla chitarra da Enrico Polverari. Un viaggio nel cuore pulsante del blues, perché certa musica, oggi come ieri, continua a parlare e a raccontare storie incredibili.
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Ingresso gratuito. L’evento è organizzato da Anche Io Aps.
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