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Rosa di macchia

di Angela Borghi

Il racconto della domenica

Ebare aveva camminato in silenzio curvo tra i cespugli di finocchio selvatico, sopra le alture vicine all’esercito dei nemici e fino al tramonto del sole, ma grazie all’aiuto del Dio a cui aveva sacrificato, alla fine l’aveva trovata. Il Re non sarebbe sceso in battaglia senza mangiare il dolce preparato con frutti di rosa di macchia e miele. Il vigore e la forza eccezionale che gli dava lo aveva sempre fatto vincere, anche prima di diventare il Re dei Re. Confidava ciecamente in quella ciambella impastata e la divideva anche con i suoi generali prima di combattere. Senza, era convinto di non riuscire vincitore.
Quindi lui, lo scudiero fedele, aveva dovuto in quella terra nemica andare in cerca della rosa di macchia. Ora, ai piedi delle colline che contornavano la spiaggia, aveva trovato un cespuglio ricoperto di fiori rosa e dai frutti scarlatti, grossi più delle uova di una quaglia. Riempì la bisaccia e tornò all’accampamento prima che calasse il crepuscolo.
Impastava la farina di grano con lacrime, Melissa, mentre preparava le focacce per la cena del Re. Ricordava appena il suo nome, tutti la chiamavano la schiava o la greca, da quando, ancora bambina, era stata presa dai Persiani dopo la conquista della sua piccola isola. Adesso i suoi padroni erano giunti con un’avanzata inarrestabile fino alla terraferma e avrebbero sottomesso tutte le città della Grecia.
Quando lo scudiero rovesciò sul piano di legno il contenuto della bisaccia non ebbe bisogno di ordinarle nulla, lei sapeva già che avrebbe dovuto impastare il miele con la polpa di quei frutti, del colore del sangue che sarebbe stato versato.
Spostando l’orcio che conteneva delle piccole mele essiccate le venne l’idea. Non piangeva più ora mentre le fiamme del braciere distruggevano tutti i rossi frutti della rosa di macchia e lei schiacciava e impastava invece le mele.
Il giorno dopo la battaglia fu terribile: in tutta la piana per molte ore risuonarono le grida dei guerrieri feriti, il clangore delle punte delle lance sulle armature di bronzo, il fruscio delle frecce che oscuravano il cielo, il nitrito disperato dei cavalli. A sera i nemici avevano vinto e la Grande Palude era ricoperta di morti. I Persiani si ritirarono precipitosamente sulle navi rimaste e i generali, timorosi dell’ira del Re dei Re, in silenzio ascoltarono la sua furiosa incredulità che non si faceva ragione di una sconfitta inflitta da guerrieri in numero così inferiore, per colpa di una strategia risultata disastrosa, di armi rivelatesi inadatte al luogo, di un valore che, in uomini che rischiavano la libertà delle loro città, si era dimostrato più forte di quello dei suoi soldati. Ma pure tutto questo passò come una nuvola, soffiato via dall’angoscia di una consapevolezza: il Dio Creatore che fino ad allora si era sempre schierato con lui dopo il rito di mangiare il dolce di miele e rosa di macchia prima della battaglia, ora lo aveva abbandonato.
Dario, il Re dei Re, non poteva tollerare tale tradimento. E ai generali che attendevano il responso sulla loro sorte di sconfitti ordinò freddamente:
– D’ora in poi brucerete ogni cespuglio di rosa che incontrerete.-
Mentre le navi si allontanavano sul mare e scendeva il viola della notte Melissa teneva in mano un piccolo superstite del contenuto della bisaccia. Un fiore dai petali rosa e dal profumo dolce che sembrava, con timidezza, voler proclamare la sua innocenza.
Sulla spiaggia ormai distante la schiava distingueva ancora i fuochi dei suoi fratelli greci che festeggiavano la vittoria e illuminavano la piana di Maratona.

Racconto (e foto) di Angela Borghi (www.ilcavedio.org)

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Pubblicato il 15 Giugno 2025
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