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Andiamo a votare 

La riflessione del direttore Marco Giovannelli sul diritto al voto che rischia di perdere il proprio valore sociale come espressione massima della democrazia

referendum

Sono settimane che assistiamo a tristi balletti sul voto ai referendum. Ultima in ordine di tempo è arrivata la premier con una posizione furba: “andrò alle urne, ma non ritirerò le schede elettorali”. Prima di lei si erano espressi con chiarezza il suo vice e la seconda carica dello Stato, il Presidente del Senato Ignazio La Russa. La loro scommessa politica si gioca sull’inerzia, sul fatto che non verrà raggiunto il quorum con la buona pace di chi vorrebbe entrare nel merito delle questioni poste con i quesiti referendari.

La loro responsabilità politica è enorme perché il nostro Paese lentamente rischia di entrare in una fase storica in cui i politici diventano una oligarchia scelta da sempre meno cittadini. Una condizione che facilita sempre più l’orientamento del consenso. Ormai ne abbiamo continue riprove.

Anche nel voto più prossimo alle persone, come quello per il rinnovo delle amministrazioni, va a votare poco più della metà degli aventi diritto. In un caso specifico, addirittura, è stata fatta una piccola riforma dichiarando con tutta evidenza la scarsa fiducia nei cittadini. Nei comuni dove si presenta un solo candidato sindaco il quorum, affinché il voto sia valido, è stato portato al quaranta percento. Una scelta dettata dal fatto che spesso la metà degli elettori non andava a votare.

Passo dopo passo il diritto al voto rischia di perdere tutto il proprio valore sociale. La massima espressione di democrazia diventa questione per pochi.

Ci dovremmo interrogare tutti, in primis chi governa, di quanto sia alto il rischio. I populismi hanno lavorato perché si demolisse un’idea dello Stato sociale a vantaggio degli individualismi. I politici che si richiamano ad altri valori da tempo sembrano non solo strizzare gli occhi alle peggiori pulsioni, ma di fatto depotenziano ogni valore del voto.

Così facendo incentivano quel nichilismo del “tanto non cambierà niente”. Il modo migliore per pensare di conservare il potere dal loro punto di vista. Il peggiore per far crescere le coscienze delle persone e soprattutto delle giovani generazioni. Giovani generazioni che in massa abbandonano il nostro Paese.

Certo non dipenderà dal voto dell’8 e 9 giugno, ma certamente quel battersi per non mandare a votare le persone non esprime alcuna fiducia.

Poi, è tristissimo non poter aprire una discussione nel merito dei quesiti. Ma ormai la tattica sembra aver ragione delle visioni. Una posizione che aprirà un secondo dibattito tutto politico su chi alla fine avrà vinto. Perché le opposizioni, pur in presenza della sconfitta per non aver raggiunto il quorum, saranno pronte a rivendicare un successo politico qualora andassero al voto e i si superassero i voti presi dal centro destra alle elezioni politiche.

Non dimentichiamo che elettoralmente l’attuale governo riscuote il consenso di una stretta minoranza dell’elettorato. Tutto questo con buona pace delle questioni aperte con i referendum.

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Pubblicato il 04 Giugno 2025
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