Spi Cgil: “Lavoro, diritti, cittadinanza: perché i referendum parlano ai giovani (e non solo)”
Allo spazio libero di Materia, sindacalisti, esponenti politici e cittadini hanno discusso i cinque quesiti referendari dell’8 e 9 giugno. Tra precariato, sicurezza, licenziamenti e cittadinanza, un confronto sul futuro del lavoro e della democrazia
«Ho parlato con un ragazzo, un giovane studente che mi ha confessato “Ho paura del mondo del lavoro”. Questi referendum vogliono proprio rispondere ai timori delle nuove generazioni sul loro futuro. E per questo ci stiamo mobilitando e continueremo a farlo»: con queste parole Stefania Filetti di Cgil Varese ha avviato il dibattito sui Referendum allo spazio libero di Materia.
Dopo il benvenuto del direttore, Marco Giovannelli, che ha puntato i riflettori sull’importanza che ci sia corretta informazione sui prossimi Referendum dell’8 e 9 giugno, è iniziato il confronto che ha approfondito ciascuno dei quesiti proposti.
«Non è una contraddizione che il mondo dei pensionati si interessi degli argomenti del Referendum – ha tenuto a precisare Daniele Gazzoli, segretario generale di Spi Cgil Lombardia -. Lo Spi è sempre solidale verso i giovani e le condizioni del mondo del lavoro».

Quesito 1 e 2
-Stop ai licenziamenti illegittimi
«Si tratta di una battaglia di civiltà, che allinea l’Italia agli altri paesi europei – ha riassunto Francesca Cosentino di Flc Cgil, parlando di cittadinanza e raccontando della sua esperienza di docente a contatto con i minori stranieri – occorre rendersi conto che la riduzione degli anni necessari ad ottenere la cittadinanza avrebbe effetto sui bambini, spesso nati e cresciuti qui, che non dovrebbero rinunciare a gite, opportunità di lavoro e studio all’estero e a concorsi pubblici»
-Più tutele per le lavoratrici e I lavoratori delle piccole imprese
Ad approfondire i temi legati ai primi due quesiti è stato Stefano Gallinaro, sindacalista della Fiom, con un esempio di un intervento del sindacato che avvenne prima del Jobs Act. «Seguimmo alcuni dipendenti che erano stati licenziati da un’azienda con meno di 15 dipendenti. Approfondendo la questione, scoprimmo che la società era parte di un gruppo di piccole ditte tutte all’interno dello stesso spazio – ne condividevano la portineria – e gestite dallo stesso gruppo dirigenziale. Vincemmo la causa, dimostrando come si trattasse di un’azienda unica e, ad oggi, la società è una sola e ha iniziato un dialogo con le Rsu. I lavoratori ottennero il reintegro: con le leggi attualmente vigenti, dopo il Jobs Act, ciò non sarebbe stato possibile. Un esempio che fa riflettere, così come il fatto che le piccole imprese in Italia rappresentino il 90% del tessuto imprenditoriale. I lavoratori, anche chi è assunto in questi contesti, va tutetato».
Quesito 3
-Riduzione del lavoro precario
È stato Livio Muratore, segretario della Filcams Varese, a raccontare come gli uffici vertenze del sindacato, dopo le modifiche attuate con il Jobs Act, abbiano dovuto interrompere il supporto dato ai lavoratori sul lavoro precario. «I contenziosi rispetto alle causali dei contratti a tempo determinato non possono più procedere e le aziende cambiano continuamente manodopera senza offrire una stabilità ai dipendenti. Il referendum punta a tornare alla centralità delle causali contro la precarietà e per i diritti dei lavoratori, per permettere il lavoro più stabile».

Quesito 4
-Più sicurezza sul lavoro
Emanuele Cocolo di Fillea, la categoria degli edili, ha affrontato il tema della sicurezza sul lavoro, spiegando come la vittoria del “Sì” in questo quesito estenderebbe la responsabilità all’impresa appaltante in caso di infortuni. Una misura legale che coinvolgerebbe le società appaltanti, innescando una maggior attenzione verso le norme di sicurezza.
Quesito 5
-Più integrazione con la cittadinanza italiana

Un esempio in questo senso è quello raccontato da Helin Yildiz, consigliera comunale di Varese: «Sono nata e cresciuta in Italia e ho ottenuto la cittadinanza a 12 anni, grazie al diritto riconosciuto ai miei genitori. Tanti, troppi ragazzi attendono fino a 20, in alcuni casi 25 anni, perché la procedura legale si arresta su cavilli burocratici. La società è cambiata rispetto al 1992, ma abbiamo una legge che non rappresenta il nostro Paese. Domani – 9 maggio – si celebra l’Europa, un’Europa basata sui diritti e sulla pace: mostriamo che idea vogliamo della nostra società scegliendo di votare anche contro i venti di odio e razzismo che dilagano. Pensiamo solo al Remigration Summit che si dice arriverà sul nostro territorio».
«Questi quesiti possono cambiare la vita delle persone: il tema del lavoro è centrale per la difesa della democrazia. Per difenderla ci dicono che occorra investire nel riarmo: quella può essere una strada, ma potremmo farlo anche in un altro modo, occupandoci dei temi che riguardano lavoro e diritti. Per questo il voto ai referendum è fondamentale» ha riflettuto Giacomo Licata, segretario generale di SPI Varese, introducendo gli altri relatori.

“La destra tenterà di non parlarne. Noi informiamoci”
A prendere la parola il consigliere regionale Pd Pierfrancesco Majorino, che ha ringraziato il sindacato per il suo attivismo in una battaglia che «mette sotto i riflettori i diritti, in un momento storico in cui la Premier racconta che occupazione e salari sono messi bene. Votare unisce la questione sociale e quella democratica, riportando la speranza e la reale attenzione sulle condizioni autentiche del mercato del lavoro. La destra tenterà di non parlarne, evitare la discussione, proseguirà su questa strada ed è a tutto ciò che dobbiamo rispondere, informandoci e andando a votare, qualunque sia la nostra opinione sui quesiti».
Majorino ha poi evidenziato la questione fondamentale della sicurezza sul lavoro: «Un punto cruciale, di cui ci si accorge solo durante i lutti».
In questo mondo dobbiamo essere partigiani
A concludere gli interventi, l’accorato appello di Tania Scacchetti, segretaria generale di Spi Cgil, che ha iniziato con un esempio che ben descrive la realtà del precariato del lavoro. «Recentemente era riportata la notizia di un 73enne assunto, morto d’infarto nel primo giorno di lavoro. Aveva cercato un impiego per aiutare la sua famiglia, per poter dare un contributo a chi non riusciva ad andare avanti a causa di contratti e salari non adeguati. Occorre restituire diritti al mondo del lavoro e per fare questo occorre fare una scelta di campo. In questo mondo dobbiamo essere partigiani: se da una parte c’è un’idea di democrazia che non condividiamo, che reprime il dissenso, dobbiamo rispondere partecipando, prendendo parte al cambiamento, permettendo di riportare il confronto sulle reali condizioni dei lavoratori».
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