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Cinghiali allo sbaraglio: la causa siamo noi?

Oltre 700 lettori di VareseNews hanno partecipato al sondaggio del Parco del Campo dei Fiori sui cinghiali. E’ ora di trarre qualche conclusione

Cinghiali

Grazie alle numerose risposte ottenute dal sondaggio sul cinghiale delle scorse settimane, torniamo a parlare della specie approfondendo i motivi per cui oggi è tanto diffusa. La ricetta del successo è dovuta alla convergenza di diverse cause di origine sia ecologica sia umana: ma il peso delle azioni dell’uomo è decisivo.

Dall’analisi del questionario sul cinghiale è emersa una buona conoscenza delle caratteristiche biologiche ed ecologiche che lo caratterizzano. Un risultato per nulla scontato, soprattutto considerando le complessità tipiche di questa specie. Cogliamo quindi l’occasione per ringraziare gli oltre 700 lettori di VareseNews che hanno dato il proprio contributo per questo sondaggio e per approfondire alcuni argomenti che hanno stimolato maggiormente la curiosità dei lettori, ed in particolare: perché il cinghiale è diventato così abbondante sull’intero territorio nazionale?

Ingegnere ambientale, “taxista” di semi e riproduttore seriale: scopriamo i mille volti del cinghiale

 

Il cinghiale è infatti oggi l’ungulato più presente nel nostro paese, sia in termini di distribuzione sia di numero di individui. L’ISPRA (l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) segnala un raddoppio del numero degli esemplari in 10 anni: dai 500 mila del 2010 a 1 milione nel 2020.

 

LE CAUSE NATURALI ED ECOLOGICHE

Crescita spontanea e grande adattabilità

Dopo aver sfiorato l’estinzione, il cinghiale è ricomparso autonomamente nell’Italia nord-occidentale attorno al 1919, quando alcuni soggetti provenienti dalla Francia hanno colonizzato parte della Liguria e del Piemonte, sebbene l’incremento delle popolazioni italiane inizi in modo più consistente intorno agli anni ‘50. Oltre alla naturale espansione delle popolazioni dei paesi limitrofi, e alle molteplici attività di ripopolamento effettuate a livello locale in particolare negli anni ‘60 e ‘70, purtroppo senza una adeguata pianificazione, hanno contribuito in buona misura a determinare questo fenomeno anche il graduale recupero del bosco in zone precedentemente utilizzate per l’agricoltura e la pastorizia, il progressivo spopolamento di vaste aree di media montagna, soprattutto sugli Appennini, e la conseguente minore pressione venatoria, anche in seguito alla perdita di consuetudine di prelievo di questa specie.

cinghiali

Come anticipato nel precedente articolo, la grande adattabilità alle più disparate condizioni ecologiche che caratterizza il cinghiale è l’elemento essenziale per comprendere il considerevole ampliamento dell’areale avvenuto in tutta Europa. Nonostante l’habitat ideale del cinghiale richieda un’adeguata copertura boschiva di latifoglie, la specie si è rivelata estremamente adattabile ad ambienti assai diversi: dal livello del mare fino ai 2000 m e in habitat che variano dalla pianura intensamente coltivata e antropizzata agli orizzonti alpini e alle praterie di alta quota. Il cinghiale presenta inoltre un’enorme capacità di incremento annuale, variabile tra il 50 e il 200% della popolazione, dimostrando di essere in grado di mantenere popolazioni vitali, nonostante le modificazioni cui sono stati sottoposti gli habitat originari e l’elevata pressione venatoria che viene esercitata nei suoi confronti. 

 

LE CAUSE ANTROPICHE 

La rapidità con la quale si è verificato il fenomeno espansivo del cinghiale è legata però anche a diverse attività dovute all’uomo.

Cinghiali fra i condomini a Varese

Immissioni e rilasci

Le massicce immissioni a scopo venatorio hanno infatti sicuramente giocato un ruolo fondamentale nella proliferazione della specie. Iniziati a partire dagli anni ‘50, con cinghiali importati dall’estero, in un secondo tempo i rilasci sono proseguiti soprattutto con soggetti prodotti in cattività in allevamenti nazionali. Questi interventi hanno non solo contribuito alla diffusione del cinghiale, ma hanno anche  creato problemi di incrocio tra sottospecie differenti e di ibridazione con le forme domestiche, causando la scomparsa dalla quasi totalità del territorio della forma autoctona caratteristica della penisola italiana. La presenza a macchia di leopardo di nuclei isolati di cinghiale in molte aree alpine è proprio sintomo di immissioni abusive, purtroppo ancora largamente in uso: da un’indagine del 2007 emerge come immissioni di tipo illegale (probabili o accertate) sono segnalate nel 40% delle province alpine.

cinghiali cittiglio

Mancanza di dati e coordinamento

Va evidenziato come il quadro delle conoscenze circa i numeri delle popolazioni italiane di cinghiale e la loro evoluzione sia assai carente, e quindi risultano spesso assenti le indispensabili basi tecnico-scientifiche per programmare e intervenire. Inoltre, la mancanza di strategie di gestione della specie coordinate e condivise tra le aree in cui la caccia è consentita e le aree in cui non lo è, impedisce di fatto un’adeguata pianificazione e azione. Anche la pianificazione degli interventi di gestione risulta calibrata sui confini amministrativi (es. Ambiti Territoriali di Caccia, Province o Regioni) che sono ben individuabili dall’uomo ma che non hanno particolari valenze per il cinghiale, che dovrebbe essere gestito facendo invece riferimento alle unità di popolazione, promuovendo e incentivando ampie sinergie tra gli Enti gestori.

cinghiali

Numeri non realizzabili

Da un punto di vista tecnico inoltre c’è la mancanza di una valutazione critica, approfondita e rigorosa dell’efficacia del programma gestionale adottato e la mancanza di ricalibrazione dello stesso alla luce dei risultati conseguiti e degli obiettivi prefissati. Spesso la gestione venatoria prevede degli obiettivi di fatto impraticabili per cui i cacciatori si ritrovano troppi esemplari da abbattere pro-capite, mentre nel contempo, a  livello nazionale il numero di cacciatori decresce e aumenta l’età media.

cinghiali

Tecniche inadeguate

La caccia costituisce la prima causa di mortalità nelle popolazioni di cinghiale, ma al tempo stesso, preleva una quota insufficiente a contenere l’incremento delle popolazioni e, anzi, spesso crea l’effetto opposto. L’attività venatoria può infatti innescare risposte nella riproduzione della specie che, insieme all’aumentata disponibilità alimentare, causano un aumento della produttività delle popolazioni: cresce il numero di giovani femmine che si riproducono anticipatamente, e viene alterato il normale comportamento della specie nel territorio. La conseguenza è un aumento del  rischio di danni all’agricoltura o dei temporanei incrementi delle concentrazioni di esemplari nelle aree con divieto di caccia.

Varie

La tecnica di caccia attualmente più utilizzata, la braccata, crea spesso una destrutturazione delle popolazioni. Si tratta di una forma di caccia collettiva (più persone e cani) che consiste nella ricerca dei cinghiali da parte di una muta di cani appositamente addestrati e gestiti da uno o più conduttori. Compito dei cani è di stanare gli animali e dirigerli verso i cacciatori. Questa modalità di caccia provoca, da un lato, la disgregazione delle popolazioni e in particolare la dispersione di molti individui giovani, primari responsabili di un sensibile aumento dei danni alle colture. Questa tipologia di prelievo venatorio, per via dell’elevato numero di cacciatori e cani coinvolti, causa anche un disturbo notevole su molte altre specie.

Conflitti di interesse

Anche alcuni aspetti socio-politici hanno fatto sì che il cinghiale abbia raggiunto i  grandi numeri che lo rendono una specie “problematica”. Da una parte i piani di gestione di Regioni e Province sono ancora troppo dipendenti dai portatori di interesse e di conseguenza, spesso, tecnicamente “deboli”. Dall’altra, la maggioranza del mondo venatorio spesso non collabora alla completa attuazione delle strategie gestionali finalizzate a una riduzione drastica delle presenze di cinghiale sul territorio.  

Comportamenti scorretti

cinghiali cuasso foto

Non dimentichiamo che, se da un lato si cerca di contenere il numero di cinghiali, dall’altro c’è ancora chi li alimenta. È importante quindi evidenziare che somministrare foraggiamento artificiale agli animali selvatici è una pratica scorretta in quanto porta a disabituarli alla ricerca del cibo e tende ad avvicinare la fauna agli ambienti umani, aumentando il rischio di conflitti e trasmissione di malattie. E per di più, fornire cibo ad animali selvatici  rappresenta anche un reato (Legge n. 157 del 1992 “Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”) che risulta ancor più grave se si tratta di cinghiali, visto il conflitto che esiste, tant’è che è stata stabilita una normativa ad hoc (Legge di stabilità n. 221 del 2015, art.7).

 

Il mercato nero

Infine, esiste anche poca attrattività delle carni di cinghiale a causa del “mercato nero” che è presente un po’ in tutta la Penisola. Attorno al cinghiale “c’è un giro d’affari illegale che vale centinaia di migliaia di euro: per un cinghiale abbattuto legalmente, ce ne sono almeno due abbattuti illegalmente”, lo denunciava già nel 2015 Franco Ferroni, responsabile Policy Biodiversità, Aree protette, Politiche Agricole del Wwf Italia. Questo significa che, sulle nostre tavole, possono arrivare anche animali non controllati sotto il profilo igienico, con tutti i potenziali effetti sanitari ai consumatori che questo comporta. 

Cinghiali

È quindi necessario avere maggiori dati sulla distribuzione della specie a livello nazionale, aumentando il coordinamento tra gli enti coinvolti sia nel monitoraggio sia nelle azioni di gestione. Bisogna prelevare di più, prelevare diversamente, prelevare meglio, evitare la braccata e prediligere tecniche di caccia più selettive e meno impattanti per le altre specie. Ma soprattutto, è fondamentale modificare i modelli gestionali in relazione a fenomeni in atto, come i cambiamenti climatici, che renderanno ancora più problematica la situazione. Ciascuna parte in causa dovrebbe operare in piena sinergia, perché la collaborazione è l’unica strategia vincente per la gestione di una specie complessa come il cinghiale.

 

FONTI

 

Il cinghiale sull’arco alpino: status e gestione delle popolazioni. A. Monaco, L. Carnevali, F. Riga, S.Toso. Report Centro Ecologia Alpina 38, 2006:  https://it.readkong.com/page/il-cinghiale-sull-arco-alpino-status-e-gestione-delle-9241965

 

Verso una gestione sostenibile dei grandi Mammiferi in Italia: uno sguardo oltre l’emergenza cinghiale”. Gestione faunistica e venatoria del cinghiale. A. Monaco, L. Pedrotti, E. Merli, S.Grignolio, B. Franzetti, J. Herrero, A. Marsan. Bologna, 2015: https://www.mammiferi.org/wp-content/uploads/2017/01/Bologna_1_1_2015-Monaco_gestione.pdf 

 

Hunting seasons in relation to biological breeding seasons and the implications for the control or regulation of ungulate populations. M. Apollonio, R. Putman, S. Grignolio and L. Bartos. Ungulate Management in Europe: Problems and Practices, 2011: https://www.researchgate.net/publication/230560984_4_Hunting_seasons_in_relation_to_biological_breeding_seasons_and_the_implications_for_the_control_or_regulation_of_ungulate_populations 

 

Status, distribuzione, consistenza, gestione e prelievo venatorio delle popolazioni di Ungulati in Italia. L. Carnevali, L. Pedrotti, F. Riga, S. Toso, 2009. Banca Dati Ungulati: Rapporto 2001-2005. Biol. Cons. Fauna, 117:1-168: https://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/banca-dati-ungulati.pdf 

 

Regulating wild boar populations is “somebody else’s problem”! – Human dimension in wild boar management. Keuling, Oliver & Strauß, Egbert & Siebert, Ursula, 2016. Science of The Total Environment 554–555(1):311-319: https://www.researchgate.net/publication/297168042_Regulating_wild_boar_populations_is_somebody_else’s_problem_-_Human_dimension_in_wild_boar_management 

 

The environmental impact of wild boar. Galemys. Massei, Giovanna & Genov, Peter, 2004. Boletín informativo de la Sociedad Española para la conservación y estudio de los mamíferos, ISSN 1137-8700, Vol. 16, Nº. 1, 2004, pags. 135-145. 16:  http://www.secem.es/wp-content/uploads/2013/03/Galemys-16-NE-011-Massei-135-145.pdf 

 

Ungulati delle Alpi : biologia, riconoscimento, gestione. A.Mustoni et al. Cles Nitida, 2002, rist. 2005. – 549, [7] p.

 

“Cinghiali, è invasione?” Adrokonos, 12 febbraio 2020: https://www.isprambiente.gov.it/it/archivio/notizie-e-novita-normative/notizie-ispra/2019/09/cinghiali-tutti-ne-parlano-e-ormai-sono-quasi-tendenza-intervista-a-esperto-ispra#:~:text=image%2Fcinghiali.jpg-,Cinghiali%3A%20tutti%20ne%20parlano%20e%20ormai%20sono%20quasi%20tendenza%20%2D%20Intervista,a%201%20mln%20nel%202020

 

Linee guida per la gestione del cinghiale (Sus scrofa) nelle aree protette, 2° edizione. A. Monarco, L. Carnevali e S. Tosi. Quaderni di conservazione della natura, numero 34. Min.Ambiente – ISPRA:  https://www.isprambiente.gov.it/contentfiles/00004300/4315-cinghiale-ii-edizione.pdf/

 

“Cefalù: allarme cinghiali, per il Wwf dietro c’è un ricco business illegale”, Androkonos, 8 agosto 2015: https://www.adnkronos.com/allarme-cinghiali-il-wwf-dietro-ce-un-mercato-nero-da-centinaia-di-migliaia-di-euro_6n7CocXuoxWizb2lWwPNKq

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Pubblicato il 29 Giugno 2022
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