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Lella Costa porta in scena al Giuditta Pasta di Saronno l’inventiva femminile

Al teatro di Saronno lo spettacolo "Se non posso ballare non è la mia rivoluzione", una galleria di storie di donne creative, dal medioevo a Raffaella Carrà. L'attrice: "È un lavoro corale per dare voce a tante donne"

Generica 2020

Lella Costa sarà al Teatro Giuditta Pasta di Saronno il 19 e 20 febbraio con lo spettacolo “Se non posso ballare non è la mia rivoluzione”. L’attrice e autrice milanese debutterà con il suo spettacolo alle Arti di Gallarate venerdì 4 febbraio.

Lo spettacolo è un monologo ma insieme anche uno spettacolo corale, fatto di tante figure e interpreti. È una novità?
«È un lavoro corale, ma in scena ci sono solo io. È corale perché la voglia di dare voce a tante donne, che si è declinata in tanti modi, nel tempo. C’era già una dimensione corale in Ferite a morte ideato insieme a Serena Dandini, ad esempio. La particolarità di questo spettacolo è che, anziché limitarsi a raccontare poche biografie, abbiamo pensato di dare l’idea attraverso tante figure diverse della qualità e varietà delle esperienze femminili. Ormai sono cento le donne che entrano in scena. È una chiave molto stimolante: sul palco con me c’è un oggetto in scena che diventa anche uno schermo e su di esso appaiono i nomi di ognuna delle donne. Questo consente di entrare direttamente nella loro storia. In una sorta di danza, per alcune delle storie basta una frase, per altre serve un racconto, in altre un brano di una poesia o di uno scritto. Un costante di cambiamento di ritmo, di tono: è uno spettacolo che vola via: la danza del talento femminile. Ed è uno spettacolo non certo solo per le donne, anche per uomini. Non c’è forma di rancore e di polemica».

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Qual è la figura più curiosa o affascinante? Tra le più curiose, leggendo, mi ha subito colpito la donna che ha inventato il tergicristallo…
«Maria Anderson , certo, una storia che incuriosisce molti. Ma è stata donna anche l’inventrice della sega circolare, per esempio. O ancora Maria Telkes, la prima donna a usare i pannelli solari. Nella galleria di donne passano una serie di incredibili intuizioni femminili. O Nellie Bly, che ha fatto il giro del mondo in 72 giorni per battere gli 80 giorni del romanzo di Jules Verne. Non saprei dire quale. Senza nessuna preclusione ideologica: si va da una manaca del Duecento a Franca Valeri e Raffaella Carrà».

Accennava  alla dimensione ideologica o meglio alla assenza di preclusioni ideologiche. Cosa c’è di politico in un lavoro come questo?
«Mai come in questo periodo, con quel che abbiamo visto con le elezioni del Presidente della Repubblica, si è parlato in modo così irrispettoso di una donna: parlando dell’esigenza di un Presidente donna senza dare alcuna importanza a competenze, meriti, talenti. Dimostrare invece quanta competenza e merito sia stata portata dalle donne nella storia significa invece fare politica, in senso ampio. Penso alla figura di Ruth Ginsburg, una delle prime donne ammesse alla Corte Suprema. Una istituzione nata nel 1789 e in cui fino al 981 ci sono sempre stati solo membri maschi. In 40 anni, dal 1981, le donne sono state solo cinque. Quando chiedevano a Ruth Ginsburg quante donne dovessero esserci tra i nove membri della Corte Suprema, lei rispondeva: nove. Nello spettacolo si trovano battute, allusioni, indizi per far scoprire il percorso di tante donne diverse. Spero che guardandolo gli spettatori trovino spazio per crescere nelle proprie convinzioni».

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Il teatro sta vivendo momento enorme incertezza: che sensazione si ha oggi, nel secondo anno di pandemia?
«La prima cosa che dobbiamo fare è ringraziare il pubblico: nella stragrande maggioranza dei casi nessuno ha chiesto rimborso per abbonamenti non goduti. È stato un grande segnale di sostegno e di fiducia. Così come dobbiamo dire grazie alle tante persone che si fidano a venire a teatro: certo il teatro – come il cinema – è un posto sicuro per le rigide regole, ma psicologicamente per alcuni è difficile e per questo ringraziamo sempre, non diamo nulla per scontato. Il pubblico mi sembra stia dimostrando vicinanza – l’ho visto soprattutto nelle tournée estive – e so che ci sono tanti teatri che sono spesso esauriti. Forse c’è il di sentire l’unicità del momento teatrale, di partecipare a qualcosa che è sempre diverso, di vivere una sera che non è mai uguale all’altra:  forse anche dopo tutto questo periodo di fruizione da casa se ne ha più voglia. Temo sarà il cinema – è un’altra forma di partecipazione civile – a soffrire un po’ di più. Portare le persone a teatro significa dare una possibilità in più in termini di relazioni. Credo sia importantissimo per i più giovani: sono statu loro quelli che hanno sofferto e stanno soffrendo di più e che chiedono di poter vivere. Anche se vale per tutti:  che senso ha tenerci la vita se non si può tornare a viverla fuori di casa?»

Redazione Saronnonews
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Pubblicato il 03 Febbraio 2022
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