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Servizi sociali inclusivi, a beneficio dell’italiano e del rifugiato

Serata organizzata da Attac% Saronno, con la testimonianza di Chiara Marchetti professoressa universitaria e membro di Ciac Onlus: è possibile immaginare un servizio sociale che riesca ad essere il più inclusivo possibile, nonostante i vincoli normativi? Qual è il ruolo della cittadinanza?

Generico 2018

È possibile immaginare un servizio sociale che riesca ad essere il più inclusivo possibile, nonostante i vincoli normativi? Qual è il ruolo della cittadinanza?

Sono queste le domande su cui si è discusso mercoledì 12 febbraio, nella serata organizzata da Attac% Saronno, con la testimonianza di Chiara Marchetti professoressa universitaria e membro di Ciac Onlus.

A Parma nel 2013 attraverso un finanziamento europeo, Ciac Onlus ha avviato all’interno dell’edificio comunale una cooperativa sociale composta da rifugiati, ragazzi formati nel segretariato sociale e multilingue, con la funzione di aiutare i rifugiati a conoscere e ad accedere ai diversi servizi. «Alla fine di un anno di sperimentazione scopriamo che il 60% dell’utenza erano italiani – commenta Marchetti – perché? Perché i servizi sociali non sono facili da capire per tutti, ad esempio quale modulo compilare, come compilarlo etc.». Un servizio pensato e nato dunque per facilitare un’utenza specifica, quella dei migranti, inserito all’interno dell’edificio comunale, ha finito per agevolare maggiormente gli italiani.

«Questo cambia anche il punto di vista con cui si guarda al rifugiato, perché non è più qualcuno che ti sottrae, ma qualcuno che ti dà – commenta Marchetti – non basta quindi dire welfare per tutti, devo trovare qualcuno che mi spieghi come accedere a quei servizi, e se aumento il livello di accessibilità ai servizi per i rifugiati, inevitabilmente aiuto anche gli italiani, perché come il modulo dell’anagrafe lo devo compilare io, così lo deve compilare un rifugiato».

Cosa succede invece quando i rapporti con le istituzioni locali vengono meno? Entra in gioco il privato sociale, che si reinventa e trova altre soluzioni mantenendo lo stesso servizio.

Un esempio calzante è avvenuto qualche anno fa proprio a Saronno. A gennaio del 2016 la neo amministrazione Fagioli decise di chiudere lo sportello immigrati presente in comune; questo servizio, aperto 4 ore la settimana, forniva assistenza su come accedere ai servizi territoriali e sanitari, sulle procedure di accesso al mondo del lavoro e sulla compilazione dei moduli per il rilascio e il rinnovo dei permessi di soggiorno. Chiuso il servizio comunale entrarono in gioco le associazioni di volontariato, che a maggio dello stesso anno aprirono il servizio ”sportello immigrati” con le stesse funzionalità nella sede del Givis di Saronno, trovando finanziamenti dal mondo delle associazioni.

L’obiettivo dunque sarebbe quello di creare sistemi di welfare finanziati direttamente dall’ente statale,  da fondi europei o da contributi delle associazioni, che non facciano capo ai comuni e che quindi non siano in balia delle diverse correnti politiche, ma enti permanenti che possano garantire diritti di base universali e che possano lavorare per il beneficio di tutti.

Valentina Rizzo
valentina.rizzo@varesenews.it
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Pubblicato il 13 Febbraio 2020
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