Quantcast

Emilio e Michela, marito e moglie, figli di due deportati nei lager nazisti

Cittadini caronnesi, marito e moglie, uniti dal matrimonio e da un'esperienza di vita: i loro padri, Alvise Dell'Acqua e Dante Migliavacca, furono fatti prigionieri e deportati nei campi nazisti: "La loro più grande forza è stata quella di ricominciare"

Generico 2018

Marito e moglie, figli di due deportati nei lager nazisti, ricordano i propri genitori, la sofferenza, il dolore, ma anche la capacità di ricominciare. È la storia dei figli di Alvise Dell’Acqua e Dante Migliavacca, Emilio e Michela, coniugi di Caronno Pertusella, accomunati dal ricordo di quanto hanno vissuto i propri padri.

Galleria fotografica

Dante e Alvise, ex - deportati raccontati da documenti storici 4 di 15

«Le guardie sceglievano alcuni tra i prigionieri, senza alcuna distinzione: individuavano le matricole, e dicevano loro che quel giorno avrebbero fatto parte del plotone d’esecuzione. Poi, però, gli davano la possibilità di scegliere da che parte del fucile stare: dalla parte di chi spara, dietro al calcio, o davanti alla canna». E’ quanto visse sulla propria pelle Alvise Dell’Acqua: nato a Cesate nel gennaio del 1923, servì l’esercito italiano durante la Seconda Guerra Mondiale, come soldato presso il 13° reggimento di fanteria, e spedito al fronte greco dove venne catturato il 7 gennaio del 1943. Non si piegò alla Repubblica Sociale e fu fatto prigioniero dalle truppe tedesche l’8 settembre dello stesso anno, internato in un lager della Germania Settentrionale e liberato dall’Armata Rossa l’8 luglio 1945.

Due anni e mezzo di prigionia nei campi di lavoro nazisti, raccontati dalle parole della figlia Michela, classe 1949, che rievocano ricordi tanto sbiaditi quanto intrisi di significato, per ricordare un padre che sopravvisse alla brutalità nazista ed ebbe la forza di tornare, e soprattutto di ricominciare.

Suo marito, Emilio Migliavacca, nato nel 1948, condivide con la moglie ricordi simili: suo padre, Dante Migliavacca, nato a Caronno Pertusella nell’agosto del 1921 fu fatto prigioniero a Patrasso e quindi internato in Bulgaria, il 10 settembre del 1943, dopo aver scelto di non aderire alla Repubblica di Salò. Deportato in Germania, fu liberato dalle truppe russe il 13 aprile del 1945.

Entrambi sono stati premiati con la medaglia d’onore, concessa a militari e civili deportati e internati nei lager nazisti perché scelsero di non entrare a far parte dell’esercito della Repubblica Sociale.

Otto medaglie d’onore, Varese ricorda i militari deportati nei lager

«Ricordo che nonostante il freddo, l’unico vestito di cui mio padre era in possesso era un sacco di iuta – racconta la signora Michela -. Poi, disposti intorno ad un tavolo, arrivavano le botte. Quando potevano, frugavano nei residui della cucina per mangiare qualcosa, una buccia di patata o uno scarto qualsiasi. I pensieri fissi erano solo due: la fame e il sopravvivere».

La coppia vive a Caronno Pertusella: Emilio e Michela, marito e moglie, uniti dal matrimonio e da un’esperienza che segnò la vita dei loro padri, deportati nei lager nazisti. Dante e Alvise, insigniti di Medaglia d’Onore il 26 gennaio scorso a Varese, furono due onesti lavoratori, capaci di ricominciare da dove tutto era finito, o forse mai cominciato, prima di essere arruolati e spediti al fronte: il primo, Dante,  cominciò a lavorare alla mensa delle Ferrovie Nord, poi come fuochista e in seguito macchinista sulle macchine a vapore. Dopo l’elettrificazione, passò al ruolo di macchinista sulle macchine elettriche, fino all’età di 54 anni, quando andò in pensione perché riformato a causa di un infarto da fumo. Morì all’età di 61 anni, nel 1982. Il secondo, Alvise, ha dedicato la sua vita al lavoro da operaio nelle ditte di argenteria a Milano, dove, a causa della polvere d’argento negli occhi, impossibile da rimuovere, perse quasi totalmente la vista; morì nel 2002.

«Ho continuato il mestiere di mio padre – racconta Emilio – ho anche fatto in tempo a lavorare con lui per qualche anno, come macchinista». I ricordi di Emilio e Michela sono vaghi, data la loro giovanissima età quando, nel Secondo Dopoguerra, i loro padri tornarono a casa: «Eravamo giovani, qualcosa ogni tanto veniva fuori, i nostri padri avevano i ricordi della guerra e dei lager, ma li conservavano. Erano ricordi che appartenevano a loro, non avevano voglia di raccontare – spiega Michela, che prosegue -: nessuno può sapere davvero cos’hanno provato. Essendo piccola, non potevo capire tutto e non potevo avere la curiosità che ho maturato adesso. So solo che hanno passato l’inferno sulla loro pelle».

I coniugi Migliavacca hanno sottolineato quello che è stato il valore più grande espresso e incarnato dai loro padri, la forza di dimenticare e di ricominciare una vita nuova: «Io sono nato nel ’48 – ha proseguito Emilio – negli Anni ’50 mio papà, tornato da poco, ha costruito una casa nuova sul terreno che possedeva insieme a mio zio. Nel ’54 è poi nata mia sorella».

Michela continua: «Quando sono tornati, i nostri padri pesavano forse 50 kg. Rubavano le bucce di patate perché era l’unico modo per mettere in bocca qualcosa. Mi domando come siano riusciti a tornare vivi, e soprattutto a rifarsi una vita, ci penso spesso. Ma sono tornati e si sono messi a lavorare. Mio papà è rientrato nel ’45, e nel ’47 ha formato una famiglia».

«Probabilmente – conclude la signora Michela – quello che hanno vissuto ha dato loro la forza di andare avanti e di dimenticare. Senza scordare il passato, difficilmente avrebbero potuto realizzare quello che hanno fatto una volta rientrati in Italia, sarebbe stato impossibile. Parlavano poco per questo motivo, perché tutto quello che è accaduto era qualcosa da lasciare là, in Germania, dove tutto è successo. Hanno avuto una forza straordinaria e inimmaginabile».

Emilio e Michela ci salutano con un ultimo pensiero: «Speriamo che la storia insegni, perché i racconti di oggi, per quanto possano sembrare romanzati, descrivono storie vere, che ci riguardano e che sono vicine a noi. Il Giorno della Memoria non può essere l’unico modo per ricordare, perché il rischio è che dopo tutto cada nel dimenticatoio».

di
Pubblicato il 05 Febbraio 2020
Leggi i commenti

Galleria fotografica

Dante e Alvise, ex - deportati raccontati da documenti storici 4 di 15

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore