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“Con gli immigrati non riusciamo ad andare d’accordo”

Viaggio nelle corti del paese contese fra protettori delle tradizioni e poveri diavoli in cerca di un tetto. In molti la pensano come l'assessore, ma i proprietari delle case in affitto spesso abitano altrove

Gerenzano sonnecchia in un pigro pomeriggio di luglio. Arrivandoci a sole ancora alto, sembra agosto. In giro c’è il deserto: solo più tardi si animerà il centro, un agglomerato di vecchi edifici a corte, alcuni vere cascine non ancora del tutte riadatattate e dall’aspetto cadente, intorno ad una chiesa maestosa, di stile ottocentesco. Potrebbe essere qualunque altro borgo dell’alta pianura lombarda. Viuzze che si intrufolano verso cortili seminascosti; acciottolati; portici agli angoli.
E’ questo centro storico il pomo della discordia. Basta avvicinarsi alla bacheca. Una mano tanto politicizzata quanto indignata vi ha appeso un bel cartello che attacca l’assessore Borghi e le sue dichiarazioni: quelle di chi voleva chiudere la porta agli stranieri, parole sue, ma ha scoperto che in tanti non lo seguono. A modo loro: affittando o vendendo a stranieri. E stranieri ce n’é: ce lo confermano gli “indigeni” doc e un paio di giri oziosi per il centro. «Ghe n’è ‘na barca» ci dicono davanti alla vecchia macelleria un paio di persone di mezza età. «Vengono da tanti paesi, dai boliviani ai senegalesi, sono tanti i marocchini. Di tutti i tipi, davvero: in certi cortili non c’è un italiano». Si va, ci dicono, da chi lavora regolarmente al delinquente. E’ un fatto che i boschi di questa zona siano famigerati per lo spaccio: che poi a “lavorarci” sia chi abita in paese è da dimostrare. “E ci sono già stati almeno un paio di casi di confisca di appartamenti per affitto a clandestini”.

I cortili si susseguono, ognuno diverso e un po’ simile a quello prima. Alcuni hanno targhe apposte già da qualche tempo con i nomi della tradizione: Curt de la Crus, Curt di Marchionn, eccetera. Quasi un esorcismo verso lo straniero invasore, che ci abita tranquillamente, ignaro delle alte e civili tradizioni insubriche: gli bastano le sue. La sciura Teresa è un po’ il riflesso vivente della contraddizione di appartenere a un luogo senza esservi nata: d’origine è furlana. «Qua ci sono sette nuclei di stranieri» dice indicando la facciata di fronte alla sua abitazione, fra le più linde e meglio ristrutturate. Davanti, panni stesi e case progressivamente più “sgarrupate”, (il napoletanismo è tornato di moda), salendo verso l’alto. Tracce di una secolare abbrutente miseria, oggi è rimasta una miserevole bruttezza cui pian piano si rimedia con ristrutturazioni, mani di intonaco. Ma nessuna riqualificazione può fermare il torrente umano che filtra dal Sud del mondo e zitto zitto sostituisce gli autoctoni fuggiti nei nuovi suburbi. «Sono duri» dice la sciura «in due-tre locali ci stanno in chissà quanti. E’ un peccato dirlo» continua a ripetere lei, figlia di un’educazione cattolica, «siamo tutti cristiani (nel senso dell’essere umano ndr), ma non hanno un modo di vivere buono, non si può vivere d’accordo. E lo so, siamo tutti emigrati, anch’io. Sono qui da cinquantadue anni, venivo dal Friuli, anch’io mi sono sentita dire ‘tornatene al tuo paese’».

In questi cortili gli immigrati «sono quasi tutti uomini, poi qualcuno sì ha la donna, i bambini, ma in cortile non si vedono, non c’è vita, comunicazione come una volta che ci si ritrovava tutti». Ognuno per sé e Dio – o Allah – per tutti. «Convivere è dura, anche solo spiegare come va gestita la raccolta dell’immondizia, dicono sì sì poi è sempre lo stesso» si torce le mani la signora, occhiuta, come tutte le donne della sua età, verso i difetti dei vicini. «Molti non lavorano, eppure alla fine stanno bene, non si sa come. E se uno pensa alla vita di sacrifici fatta, qualche domanda se la fa». Quanto alla polemica sull’assessore, la sciura Teresa è ben informata. «Quel Borghi ha cercato di agire per il meglio, chi non vive in cortile non può sapere com’è. Nessuno ci aiuta. Ogni tanto le forze dell’ordine catturano qualche irregolare – ce n’è di regolari e non – poi dopo qualche settimana rieccolo». Quanto ai proprietari di questi immobili, sembra, da quanto si dice, che siano in buona parte gente che non vive più in paese da un pezzo, poi vari stranieri hanno comprato.

In una drogheria del centro la negoziante è quantomeno perplessa sull’opportunità dell’uscita dell’assessore sul foglio comunale. «Un po’ infelice» dice, «poi ognuno decide secondo coscienza. La Lega però è l’unico partito che ha fatto qualcosa per questo paese, va detto: e io non sono leghista». Qualche intervento sul centro storico si è visto: un paio di case riattate e utilizzate per ospitare persone con varie difficoltà – handicap, età avanzata, povertà. Ma il sogno di un centro “quattro stelle” si scontra con quelle facce poco padane che ricordano quanto il mondo attuale sia un villaggio o poco più. Difficile cavarne qualcosa. Gli stranieri ci sono, vanno e vengono, chi in auto, chi in bici, chi in motorino, ma non è facile parlarci. «Sono qui da pochi giorni» fa in buon italiano un nordafricano di mezza età, e sguscia via. Da qualche portone filtra musica popolare di gusto mediorientale, una specie di pop orecchiabile e alieno a un tempo. Pentole sfrigolano, bambini che ricordano le foto di Gaza bombardata rincorrono palloni. Quando una bionda di mezza età sbarca da una Punto e si attacca al cellulare, lo fa in qualche lingua dell’est, forse rumeno. Benvenuti in Padania.

Redazione Saronnonews
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Pubblicato il 14 Luglio 2009
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