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“Soli, chiusi in casa con genitori spaventati. I nostri adolescenti hanno bisogno di aiuto”

Con Mirella Maffioli, psicologa e psicoterapeuta dell'Asst Sette Laghi abbiamo parlato del preoccupante aumento dei tentati suicidi. Un fenomeno complesso che la pandemia ha portato alla luce

adolescente

«I suicidi tra gli adolescenti ci sono sempre stati, ma certo qualcosa è cambiato in questi ultimi anni. È un parere personale, ma credo che gli psicologi dovranno lavorare nei prossimi dieci, quindici anni sugli effetti della pandemia. L’equilibrio di ogni individuo è stato messo sotto pressione, quello degli adolescenti più che mai».

A parlare è Mirella Maffioli, psicologa e psicoterapeuta da oltre trent’anni impegnata con gli adolescenti, prima al Dipartimento Dipendenze, ora, dal 2016,  nel Consultorio Familiare dell’Asst Sette Laghi.
Negli ultimi mesi anche in provincia di Varese si sono registrati casi di tentati suicidi soprattutto tra gli adolescenti e abbiamo chiesto alla dottoressa Maffioli se si tratti di una preoccupante escalation. L’esperienza di questi anni la porta a sgombrare subito il campo da possibili sensazionalismi: «È un fenomeno in crescita quello dei suicidi o dei tentati suicidi? In parte forse è così, ma c’è anche il fatto che oggi se ne parla, si affronta il fenomeno, non solo sui giornali, ma a scuola, in famiglia, nei Consultori; prima forse erano situazioni più nascoste».

È tutto molto complesso ed è quasi impossibile “imbrigliare” in una casistica quello che sta accadendo ai nostri ragazzi, ma la pandemia è sicuramente un punto di partenza per cercare di capire: «I conflitti durante l’adolescenza sono importanti – spiega la dottoressa Maffioli –sono strumenti che consentono agli adolescenti di assolvere ai compiti evolutivi, vale a dire alle funzioni, ruoli e obiettivi del processo di crescita. Che cosa è accaduto in questi ultimi mesi? Con il lockdown i ragazzi sono rimasti forzatamente in casa, con i genitori sempre presenti con i quali hanno dovuto dividere gli spazi, senza avere la possibilità di uscire, quindi di separarsi dalla famiglia, di frequentare i gruppi di amici, continuare a costruire la propria immagine di sé e sociale. Insomma, hanno vissuto un periodo sospeso in cui hanno messo in stand by i conflitti, gli impegni, le attività e i sentimenti. Per giunta si sono trovati a casa con adulti che hanno scoperto immobili, spaventati, disorientati che fronteggiavano la paura di morire e l’incertezza economica. Non erano più gli stessi adulti con cui si confrontavano a volte in maniera accesa nei mesi precedenti. Se a questo aggiungiamo la Dad che ha convogliato l’esperienza scolastica in uno schermo, ha privato i ragazzi di tutte le esperienze che riempiono la loro vita, incontrare gli amici, prendere il pullman, aspettare fuori da scuola l’amico o l’amica del cuore, comprendiamo quanto sia stato difficile per loro gestire le emozioni e la crescita personale».

La pandemia, ormai è acclarato, ha travolto la psiche di giovani e adulti, ma per gli adolescenti il terremoto emotivo è stato in alcuni casi devastante: «Soli, senza amici, in casa con la responsabilità di proteggere genitori e nonni, si sono sentiti persi. Al consultorio già prima dell’emergenza sanitaria erano aumentate le richieste di aiuto per crisi d’ansia e attacchi di panico, ora le domande sono in crescita, anche da parte dei genitori».

L’emergenza Covid ha aggravato una situazione già difficile: «I mutamenti sociali del dopoguerra hanno notevolmente accelerato tempi e ritmi di vita dando il via ad una società che prospetta mille futuri possibili e che offre ai giovani una vastissima gamma di scelte potenziali creando nei ragazzi una particolare difficoltà, la ricerca di un solo futuro reale, credibile e valido per sé – continua la psicologa- . Agli adolescenti di ieri veniva richiesto di crescere e conoscere; a quelli di oggi di crescere, conoscere ed avere successo: di essere prestanti in ambito scolastico, sportivo e professionale. La pressione che esercita la famiglia e la società è molto forte e non tutti sono in grado di sopportarla e rispondere adeguatamente».

Le reazioni sono le più diverse, spiega la dottoressa Maffioli, e vanno dalle manifestazioni di ansia e sentimenti di incapacità, ai comportamenti del disturbo alimentare, al ritiro sociale o all’assunzione di comportamenti rischiosi, o al consumo di sostanze come l’alcol: questi comportamenti hanno tutti un significato simbolico e consentono di raggiungere un obiettivo anche se a volte non è immediatamente comprensibile: «Serve a dimostrare a se stessi, al gruppo di amici, alla società che” sono grande”, che” non ho paura e ho accettato la sfida”, che faccio parte di un gruppo e sono all’altezza degli altri componenti. Lo stesso discorso vale per chi entra a far parte di quelle che vengono chiamate baby gang: sono gruppi che rivendicano un’identità. La violenza, i comportamenti rischiosi costituiscono e definiscono il gruppo, chi è dentro deve agire così, non può sottrarsi altrimenti rischia l’espulsione con vergogna».

E cosa accade quando le “magnifiche prestazioni” che vengono richieste, dalla società, dalla famiglia dal gruppo di amici, vengono a mancare o non vengono soddisfatte? «Può succedere che se l’adolescente si percepisce inadeguato inizialmente cerchi di evitare le situazioni che lo mettono in difficoltà, si ritiri dai contesti che vive come frustranti, in cui lui si percepisce incapace e candidato ad un fallimento, o tenti di modificare alcuni aspetti di sé che pensa possano attirare un giudizio negativo. In questi casi si assiste a una messa in pausa parziale della loro vita o delle loro attività oppure a modifiche nell’aspetto, nel corpo. Solo in casi estremi di profonda compromissione e alla presenza di diversi elementi scatenanti (individuali, sociali e familiari) l’adolescente può pensare di porre fine alla sua vita, perché percepisce la morte come unica via di fuga, e liberazione da un intenso dolore, un modo per riscattarsi e lasciarsi alle spalle sentimenti di vergogna e fallimento». Questi pensieri il più delle volte spingono i ragazzi a chiedere aiuto agli adulti o ai professionisti.

A volte il tentativo di suicidio è “plateale”, come è accaduto nelle scorse settimane anche a Varese: «Buttarsi in luogo frequentato, dove tutti possono vedere, fa parte di questo progetto di morte che prevede lasciarsi alle spalle il sentimento di fallimento, di dolore, lanciare un messaggio che tutti possono vedere ». Un cortocircuito di dolore innescato da molti fattori diversi non ultimo quello legato allo sviluppo della identità sessuale. «È un tema importante, fondamentale, una parte dominante nella costruzione della personalità della identità di un adolescente. E anche questo è stato un aspetto messo in stand by dall’isolamento per la pandemia».

Sono molti i ragazzi che hanno scelto il “ritiro sociale”, anche prima del lockdown: «Si calcola che siano all’incirca 100/120 mila in Italia. Un numero spropositato. Troviamo così adolescenti che scelgono di disinvestire rispetto al contesto scolastico, alle relazioni e alla crescita, ritirandosi nella propria casa che li mette al riparo dagli sguardi giudicanti dei pari ,dalle emozioni, a volte rifugiandosi in mondi virtuali. In caso di ritiro severo l’adolescente rifiuta qualsiasi contatto con il mondo esterno, anche con i genitori, vive segregato nella sua stanza. Spesso sentiamo dire che Internet abbia molta responsabilità nell’isolamento sociale, ebbene in realtà grazie ad Internet questi ragazzi continuano ad avere una relazione con l’esterno, con i coetanei con cui continuano a comunicare».

Chi stava cercando di uscire faticosamente da questa situazione, con la pandemia è stato nuovamente rigettato indietro rinchiuso in casa nuovamente; chi stava per rinunciare al mondo esterno si è trovato facilitato ha consolidato l’ isolamento e lì è rimasto, abbandonando la scuola e gli amici.

Il consultorio offre un valido aiuto ai genitori ed ai ragazzi che vogliano parlare con psicologi e consulenti. Qui trovate la Carta dei Servizi Consultorio Familiare con informazioni e numeri da contattare.
Altra proposta interessante è il Progetto Delfino: voluto dai sindaci dei Comuni dell’Ambito Territoriale di Azzate, è finalizzato alla prevenzione del disagio giovanile. È un servizio di ascolto, consulenza e supporto psicologico che ha l’intento di offrire un aiuto concreto, vicino e di facile accesso.

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Pubblicato il 27 Gennaio 2022
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