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Omicidi all’ospedale di Saronno, l’Asst Valle Olona non poteva fermare Cazzaniga

Nelle motivazioni i giudici della Corte d'Assise che ha condannato il medico all'ergastolo e i componenti della commissione interna che non lo fermò, spiegano perchè l'azienda socio sanitaria non è responsabile

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L’Asst Valle Olona e l’allora primario del Pronto Soccorso Nicola Scoppetta non possono essere considerati responsabili civili di quanto commesso da Leonardo Cazzaniga nell’ambito del reparto in cui svolgeva il suo lavoro di medico. Ne consegue che nei loro confronti, le parti civili, non possono agire per ottenere un risarcimento.

Leonardo Cazzaniga condannato all’ergastolo

Nelle 670 pagine di motivazioni della sentenza che ha condannato il medico all’ergastolo per aver ucciso 11 pazienti da lui curati in Pronto Soccorso e, in concorso con Laura Taroni, il marito di quest’ultima, emerge anche il perché della scelta di non includere l’azienda socio sanitaria territoriale e l’ex-primario tra i responsabili.

L’esclusione dell’Asst Valle Olona come responsabile civile avviene sulla base del fatto che «non era in alcun modo prevedibile e prevenibile che Cazzaniga, un medico in servizio presso il Pronto Soccorso da molti anni, con notevole esperienza, stimato ed apprezzato tanto che gli venivano affidati i pazienti con una situazione clinica più complessa, attuasse volontariamente condotte omicidiarie come quelle contestate, in contrasto con la stessa funzione propria del medico, con i principi etici che regolano tale professione» – scrive la presidente della Corte d’Assise Renata Peragallo.

«Del resto, sino all’aprile 2013, non era stata presentata alcuna segnalazione in ordine ai decessi avvenuti in Pronto Soccorso. I fatti contestati non erano certamente prevedibili da parte dell’azienda sanitaria, trattandosi di condotte oggettivamente anomale. Alla luce di tali considerazioni, sulla base di un giudizio ex ante, non è possibile ascrivere alla ASST Valle Olona, alcuna responsabilità per non aver previsto ed evitato le condotte omicidiarie di Cazzaniga. A fronte di tali considerazioni, consegue che le richieste risarcitorie formulate nei confronti dell’ASST Valle Olona devono essere respinte» – conclude il giudice.

Per quanto riguarda, invece, l’esclusione di Scoppetta il giudice si rifà a quanto dichiarato dal consulente della difesa il quale ha riferito che «non aveva poteri disciplinari su Cazzaniga, neppure poteri di vigilanza e controllo e, tantomeno, facoltà in tali ambiti».

Nel caso in esame – prosegue il giudice nelle motivazioni -, l’applicazione di tali principi impone la valutazione delle modalità operative proprie del Pronto Soccorso in cui il dirigente non ha contatti con pazienti che rimangono in struttura per un tempo ridotto per poi essere rinviati al domicilio o ricoverati in un reparto ospedaliero, né con i familiari in assenza di segnalazioni. Il direttore della Struttura Complessa di PS non visiona né supervisiona i verbali che hanno struttura ben diversa dalla cartella clinica e che vengono immediatamene consegnati al paziente. Scoppetta, nel periodo in cui si sono verificati gli omicidi contestati, non aveva ricevuto alcuna segnalazione; le prime segnalazioni sono quelle presentate da Radu e Leto nell’aprile 2013. Non era dunque esigibile, da parte di Scoppetta alcun diverso comportamento atto a prevenire i delitti in questione. 641 A fronte di tali considerazioni, consegue che le richieste risarcitorie formulate nei confronti di Scoppetta Nicola devono essere respinte».

Riguardo alla condanna di Cazzaniga, invece, la Corte mette subito in rilievo le intercettazioni telefoniche ed ambientali che «hanno costituito una fonte preziosa di elementi di prova in quanto, nel periodo di esecuzione dell’attività captatoria, la Procura della Repubblica ha potuto raccogliere una consistente mole di materiale».

Sul tema delle cure palliative, inoltre, si soffermano per spiegare come è stato valutato l’ampio dibattito in aula, durante le numerose udienze, sul trattamento dei pazienti in fase terminale: «Nel corso del dibattimento, alcuni dei testimoni, ma soprattutto i consulenti ed i periti hanno dibattuto ampiamente le questioni relative alla definizione di sedazione palliativa, di sedazione palliativa terminale, alla differenza tra sedazione palliativa ed eutanasia, alle questioni applicative della legge 38/2010, alla possibilità o meno di applicare la sedazione palliativa in Pronto Soccorso. Deve preliminarmente rilevarsi che non è compito del giudice penale, e quindi di questa Corte, inquadrare, da un punto di vista medico, le terapie somministrate dall’imputato Cazzaniga ma esclusivamente valutare se i fatti, così come ricostruiti in dibattimento, integrino i reati come contestati e quindi se sussistano gli elementi costitutivi dei reati di omicidio volontario in forma commissiva, attuati attraverso la somministrazione di farmaci, quindi la condotta, l’evento, il nesso di causalità – ricostruito attraverso un giudizio controfattuale fondato su leggi scientifiche di copertura (universali o statistiche), frutto della migliore scienza ed esperienza, escludendo decorsi causali alternativi – e l’elemento soggettivo».

Riguardo alla guerra di perizie (accusa, difesa e tribunale hanno presentato la propria) «sostanzialmente tutti i consulenti delle parti ed i periti, ad eccezione dei consulenti nominati dal Pubblico Ministero nel corso delle indagini preliminari, hanno evidenziato le scadenti condizioni cliniche di tutti i pazienti in questione». La discrasia, comunque, non assume rilevanza sulle conclusioni in ordine alla prova dei reati. Il principio a cui si è fatto riferimento è lineare: «Quando alla produzione dell’evento (nel caso in esame, la morte) hanno contribuito, oltre all’azione dell’imputato, anche altre cause, il soggetto è comunque punibile».

Per i giudici i periti della corte hanno ritenuto che il trattamento prescritto non era condivisibile, che era sproporzionato e tale da cagionare la morte rapida dei pazienti in tutti i casi esaminati salvo che per il paziente Isgrò: «In ogni caso – sottolinea la presidente – , le valutazioni svolte dai periti trovano conferma sia sulla base delle regole della logica, delle massime di esperienza, sia sulla base degli ulteriori elementi di prova acquisiti nel corso del dibattimento. Le conclusioni dei periti, secondo la Corte»

Per quanto riguarda le responsabilità della commissione «il dato oggettivo emerso è che tutti i membri della commissione avevano rilevato non solo il sovradosaggio dei farmaci in questione, ma anche il rapido peggioramento delle condizioni cliniche dei pazienti ed il successivo rapido decesso; ciò era sufficiente ad integrare l’obbligo di denuncia in presenza dell’evidente fumus di un reato. Non era compito del pubblico ufficiale accertare compiutamente il nesso di causalità, ma il mero dubbio, anche a fronte del numero dei casi, doveva indurre a presentare la denuncia. Del resto, lo stesso imputato Cosentina ha riferito di ben sapere che la denuncia sarebbe stata doverosa anche in caso di sospetto».

Tutti i membri della commissione – conclude il giudice – hanno quindi contribuito materialmente, ciascuno con la partecipazione alla commissione e la redazione dei rispettivi elaborati a realizzare il ritardo nelle investigazioni; ciascuna delle condotte poste in essere dagli odierni imputati era idonea allo scopo, tanto che in concreto, il ritardo si è effettivamente verificato. Ciascun imputato ha agito, come emerge dagli elementi richiamati, con la consapevolezza che il contenuto delle rispettive relazioni e di quella finale avrebbe influito non solo sul personale infermieristico che aveva presentato le segnalazioni, ma anche su tutto il personale, inducendoli ad omettere o ritardare la presentazione di una denuncia all’autorità giudiziaria nei confronti di Cazzaniga, aiutando così il medico a sottrarsi alle indagini.

Orlando Mastrillo
orlando.mastrillo@varesenews.it
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Pubblicato il 29 Aprile 2020
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