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Grazie alla ricerca oltre l’85% dei bimbi malati di leucemia guarisce

Da oltre 40 anni il Comitato Maria Letizia Verga conduce la lotta contro la leucemia infantile. Un percorso straordinario raccontato dall'associazione Il Prisma di Castellanza

Generico 2018

Chiamare le cose con il loro nome, soprattutto quando si tratta di malattie, è molto importante. È un modo per affrontarle con consapevolezza. L’associazione culturale “Il prisma” di Castellanza con la sua iniziativa “Di leucemia infantile si può guarire” ha voluto raccontare i grandi passi fatti negli ultimi quarant’anni dalla ricerca nell’onco-ematologia pediatrica. E lo ha fatto portando di venerdì sera al teatro di via Dante alcuni protagonisti straordinari della lotta contro la leucemia infantileGiovanni Verga, fondatore e presidente del Comitato Maria Letizia Verga, la dottoressa Donatella Fraschini, pediatra e consulente del comitato, e Gianni Cazzaniga, biologo e capo dell’Unità genetica molecolare del Centro di ricerca Tettamanti  presso l’azienda ospedaliera San Gerardo Monza. A cui si sono aggiunte le testimonianze preziose e toccanti di Marco, Daniela, Marika e Carolina, ovvero ex pazienti, attuali pazienti e genitori.

Di fronte a loro in platea, oltre al sindaco e ai cittadini intervenuti, c’erano alcuni testimoni del percorso di ricerca sostenuto dal Comitato Maria Letizia Verga. Un impegno che va avanti da oltre 40 anni e ha trasformato una piccola speranza in una grande promessa. «L’ostinazione dei sogni e la forza dei ricordi – ha detto Giovanni Verga, fondatore e presidente del comitato – Abbiamo passato molti anni insieme, da quando non esisteva l’idea che la leucemia potesse essere curata al traguardo di oltre l’85% dei bambini guariti. Un percorso lungo ed emozionante che dobbiamo proseguire insieme».

Da quel lontano 1979, quando la piccola Maria Letizia morì a soli quattro anni, la ricerca ha vinto moltissime battaglie contro la leucemia grazie a un’alleanza terapeutica costruita giorno dopo giorno tra medici, operatori sanitari, ricercatori, genitori e volontari. È il Centro Maria Letizia Verga, edificato dietro l’ospedale San Gerardo di Monza, affronta la malattia e la cura facendosi carico dei problemi della famiglia proprio in nome di quella alleanza. «Fin dall’inizio con il professor Giuseppe Masera avevamo capito che era fondamentale la presa in carico del nucleo famigliare per dare più efficacia alla terapia – ha spiegato Verga – . Continueremo a sostenere le famiglie dei bambini malati in tutte le loro necessità durante tutto il corso della malattia fino a quando anche quel 15% , che oggi non ce la fa, raggiungerà la completa guarigione».

Nel 1988 i bambini guariti erano 138 oggi sono 2.100. Se il sogno del comitato è diventato realtà lo si deve anche ad una sana gestione delle risorse: il 97% dei fondi raccolti è impiegato nella cura, nell’assistenza e nella ricerca. C’è uno spirito di squadra che anima tutti gli operatori a qualsiasi livello. Il Centro, costato 13 milioni di euro, si sviluppa su quattro piani e ospita i reparti di onco-ematologia pediatrica, l’accoglienza, i laboratori della fondazione Menotti Tettamanti onlus, il day hospital, il centro di trapianti di midollo osseo, la palestra per la riabilitazione motoria, il giardino d’inverno. Inoltre nel 1999 è stato inaugurato il residence Maria Letizia Verga, una vecchia cascina ristrutturata dove sono stati realizzati 16 appartamenti per ospitare i bambini con le loro famiglie come se fossero a casa loro.

La ricerca al centro Maria Letizia Verga viaggia di pari passo con la clinica. I ricercatori prima di andare in laboratorio devono passare per forza dal day hospital tra i bambini malati. «Dietro la provetta non c’è solo un nome, ma ci sono un viso e uno sguardo che noi ricercatori incrociamo ogni giorno – ha sottolineato il biologo Gianni Cazzaniga – Quel passaggio è fondamentale, uno sprone a dare il meglio di noi stessi nella ricerca. La terapia è sempre più personalizzata, il dato sulle caratteristiche biologiche dei pazienti è sempre più accurato, sequenziamo il genoma dei bambini per elaborare quello che in gergo viene chiamato il passaporto genetico». Una cura dunque ritagliata sul singolo paziente, elaborata anche grazie a sofisticati algoritmi utilizzati per poter elaborare la preziosa massa di dati che il centro raccoglie quotidianamente.

Anche la comunicazione in questa alleanza virtuosa deve fare la sua parte. Determinante, secondo Donatella Fraschini, è l’uso di parole adeguate anche dopo la guarigione. «Sembra paradossale, ma in medicina esiste il lungo sopravvissuto e non la persona guarita che invece va accolta in modo adeguato – ha spiegato la pediatra – È una mancanza che in qualche modo segna una distanza con la presa in carico dopo il ciclo di cure che è fondamentale quando si parla per esempio delle complicanze legate alle cure. È un percorso non semplice che i medici devono a loro volta imparare: prima si diventa credibili agli occhi dei genitori e dopo si possono usare i tecnicismi».

 

 

Redazione Saronnonews
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Pubblicato il 05 Febbraio 2020
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